L’uomo che volle farsi Presidente
Lascia un commentonovembre 10, 2016 di carlovanni
Donald Trump contro Hillary Clinton: come si vince una campagna per la Presidenza degli Stati Uniti organizzando una comunicazione efficace.
Dio benedica gli esperti. Fino a poche ore prima tutti giuravano che era impossibile che Hillary Clinton non vincesse la sfida della candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti d’America: in pochi avevano esattamente capito cosa proponesse il suo programma elettorale, ancora meno studiavano il suo modo di comunicare. Sapevano solo che, con un pagliaccio come Donald Trump come avversario, la sfida era praticamente già vinta. Poche ore dopo, il Web si è riempito di articoli molto dotti nei quali tutti si affrettavano a spiegare quali erano stati i punti di forza di Trump, cosa in sostanza gli aveva permesso di passare sopra alla candidatura di Hillary col Caterpillar.
Bene; la verità è che sono così tanti i fattori che concorrono che, oggi, fare il giochino del “Io ve lo avevo detto” è comodo. Perché chi non ci ha azzeccato può giocarsi le carte di una acuta analisi a posteriori, mentre chi invece ci ha preso farà di tutto perché questo fatto non passi sotto silenzio.
Personalmente, preferisco stare in finestra e analizzare i fatti. Amo poco le scienze predittive, che si rivelano incostanti e aleatorie. Una buona spiegazione di cosa è successo è altrettanto utile, e anche più completa. E a questo punto siamo in grado di esaminare la comunicazione di Trump nel particolare. Ma senza strafare. Abbastanzamente.
Il primo grave errore che Hillary Clinton ha commesso, quello più gravido di conseguenze e di per se stesso praticamente fatale, è stato il non comprendere quale fosse la natura del suo elettorato. Lei ha molta esperienza di vita politica, a livelli talmente stratosferici che il comune mortale nemmeno si accorge di quanto sia brava a danzare. Il suo habitat d’elezione: i salotti presidenziali, le aule delle conferenze, i gabinetti del potere. Tutti posti in cui si deve seguire una certa etichetta, essere bravi a vestirsi, a pettinarsi, a muoversi. Qui ogni cenno, ogni stretta di mano, ogni posizione di sedia è un segnale che indica chi detiene il potere, chi ha diritto di prendere la parola, chi guida la conversazione. Tutte cose che gli spin-doctors conoscono a menadito e che chi è abituato a nuotare nei mari profondi della diplomazia deve succhiare col latte materno.
Peccato che il resto degli elettori americani, specie quelli che non passano la vita a istruirsi sui blog, non ne sospettino neppure l’esistenza. Ed è giusto così: l’Aikido della presa di mano di Hillary comunica ad un livello di linguaggio corporeo la sua dominanza in un modo che le parole non potrebbero, non sarebbe elegante.
Il livello di comunicazione della Clinton è perfetto per un brunch alla Casa Bianca. Solo che il 99% degli elettori americani, la Casa Bianca l’hanno vista solamente in foto, nemmeno col binocolo. Semplicemente, il messaggio è troppo raffinato per essere non dico compreso, ma perché il cittadino americano medio ritenga sia rivolto a lui. Pensate: oltre 100 testimonial solo tra i personaggi dello spettacolo hanno sostenuto la campagna della candidata democratica. Dall’altra parte, si è fatto avanti praticamente solo Clint Eastwood. Ora; in chi pensate che si riconosca, che voglia riconoscersi, l’americano middle class, che si è fatto da sé, che non solo è costretto a fare fronte alle mille quotidiane difficoltà dei nostri tempi ma soprattutto che è stato abituato, instradato, raccontato come uno che è costretto a far fronte a mille difficoltà quotidiane? Chi è che incarna meglio la volontà di prevalere sulle difficoltà: Katy Perry, Lady Gaga, Madonna o Clint Eastwood, che da sessant’anni racconta l’eroismo del self made man?

State pur certi che nessuno batte Clint quando si tratta di capire dove va il cuore degli Americani.
Poi si dirà: ma, in fondo, è più o meno lo stesso elettorato che ha votato come Presidente il democratico Obama.
E, sì, certo: ma il mondo era diverso, e si veniva da due mandati Bush; un po’ come accade per il fenomeno di regressione verso la media, è facile che la critica al governo uscente determini un rivolgimento verso lo schieramento rivale. Proprio come è successo stavolta, del resto.
La controprova di quanto ho appena scritto la si ottiene osservando la mappa del voto: i voti democratici si concentrano per la maggior parte nelle grandi città (Seattle, Portland, Oakland, San Francisco, Los Angeles, Boston, Filadelfia, Detroit, Austin, Whasington), negli Stati delle coste e in quelli a contatto con il Canada; quelli repubblicani, negli Stati centrali del Nordamerica. Vale a dire, la popolazione che vive di una economia rurale e industriale in declino grazie ai problemi della globalizzazione, i primi a subire le crisi economiche e gli ultimi a godere dei trend positivi: il ventre molle dell’America, scarso reddito, scarsa istruzione, scarsa apertura alle novità. Ma anche qui, non è una novità: grossomodo, i voti in America già da un pezzo si vanno distribuendo così. Piuttosto, sarebbe da capire un po’ meglio la natura dei votanti, non tanto la loro distribuzione geografica.
Facendo così, sembra chiaro che la grande massa dei voti di Trump sia arrivata dalle fasce meno istruite della popolazione, e tra queste, i bianchi lo abbiano votato in massa. Le donne e i laureati hanno votato invece in maggioranza per Hillary; ma rappresentano una massa inferiore a quella necessaria per vincere alle urne. Anche qui, niente di nuovo. E allora? Forse bisogna fare il punto su di un altro fenomeno: ispanici e neri hanno partecipato a queste elezioni in percentuale ben più alta che in quelle precedenti, e questo, invece di avvantaggiare il voto democratico, ha visto esplodere quello repubblicano. Difatti: come si evince da questo ottimo articolo del Sole 24 ore, addirittura il 29% degli asiatici e degli ispanici ha votato per Trump.
Insomma; la campagna di Donald Trump, indirizzata verso un elettorato scontento, scarsamente istruito e molto critico, è stata giocata su di una comunicazione emotiva, semplice, evocativa. Quella di Hillary Clinton è stata rivolta ad un pubblico dal livello di istruzione alto, la borghesia colta delle zone maggiormente urbanizzate; sofisticata, più fredda, basata su dati e su analisi. La Clinton ha, come dicevo in apertura, gravemente sovrastimato i numeri del proprio bacino di voti, oppure non ne ha compreso in fondo la natura, oppure ancora non è stata capace di organizzare una comunicazione efficace. O tutti e tre. Ma se devo andare a naso, la differenza enorme tra i due è questa: Trump ha comunicato in maniera facilmente comprensibile a tutti; Clinton, solo al suo elettorato di riferimento. Col risultato che gli indecisi e i membri non del tutto affezionati della seconda hanno finito col votare repubblicano.
E per il momento, chiudo qui l’analisi del voto perché l’articolo si sta facendo un po’ troppo lungo per i miei gusti.
Lo riprenderò la prossima volta, entrando maggiormente nel vivo delle tecniche comunicative utilizzate in questa agguerritissima campagna elettorale.
Abbastanzamente diCarlo Vanni è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.