Il paese in cui non moriva nessuno.
Lascia un commentoagosto 3, 2016 di carlovanni
La strana e illuminante storia di Roseto, Pennsylvania, il paese in cui non moriva nessuno, e quello che scoprirono gli scienziati.
Verso la fine degli anni ’50, il dottor Stewart Wolf, che all’epoca insegnava presso la facoltà di Medicina dell’Università dell’Oklahoma, finita una conferenza nei dintorni della fattoria della Pennsylvania presso la quale passava le sue vacanze fu invitato da un medico locale a farsi un paio di birre. Tra una chiacchiera e l’altra questo gli confidò una cosa curiosa: “Lo sa” gli disse, “faccio il medico da diciassette anni. Mi arrivano pazienti da ogni dove, ma non capita quasi mai che un abitante di Roseto con meno di sessantacinque anni presenti disturbi cardiaci“.
Impossibile, pensò Wolf: in tutti gli Stati Uniti, la prima causa di morte prima dei sessantacinque anni era appunto l’infarto, senza alcun dubbio. Ci doveva essere un errore. E siccome era un uomo curioso, radunò alcuni studenti e cominciò a raccogliere i certificati di morte di Roseto, un paesino proprio a due passi di lì, e organizzò una ricerca preliminare: a partire dal 1961, per quattro settimane, il team così formato, cui si unirono le sorelle del sindaco del paese, raccolse dati sul campo, registrò interviste, analizzò cartelle mediche, anamnesi, prognosi, ricostruirono gli alberi genealogici di tutte le famiglie, studiarono alimentazione, profili professionali ed economici, caratteri e stili di vita, eseguirono elettrocardiogrammi, prelevarono campioni di sangue.
Il risultato stupefacente fu che nessun rosetano era mai morto per problemi cardiaci prima dei cinquantacinque anni, o se è per questo, neppure aveva avuto disturbi di tal genere. Sopra ai sessantacinque anni, la morte per infarto aveva una probabilità dimezzata rispetto al resto degli Stati Uniti! Ed era solo l’inizio.
Nessuno a Roseto aveva mai avuto l’ulcera peptica. Non c’era mai stato alcun suicidio. La percentuale dei reati era bassissima, ridicola quasi; non esistevano alcolismo né tossicodipendenza, nessuno viveva grazie all’assegno sociale. La mortalità generale era di un terzo più bassa rispetto all’intero Nordamerica. La gente appariva serena e felice, e moriva di vecchiaia.
Il dottor Wolf, strabiliato, decise di andare al fondo di questo mistero. E ora, vi racconto cosa scoprì.
Dunque: mortalità bassissima, salute di ferro, gente serena, operosa. Il dottor Wolf cominciò ad analizzare la situazione. Forse facevano esercizio fisico? No; nessuno si metteva a fare yoga o jogging o chissà cosa, erano normali lavoratori degli anni ’60; fabbrica, casa, chiesa, stop. Impigrivano volentieri come tutti. Alimentazione? Un disastro: quasi la metà (41%) del totale delle calorie i rosetani lo assumevano attraverso i grassi. Pasta, pizza, lardo, salame e prosciutto, uova, peperoni, acciughe e salsicce: e va bene che i farmaci anticolesterolo ancora non esistevano, ma con questi qui sarebbero stati inutili! Non contenti di questo, buona parte degli uomini erano forti o fortissimi fumatori, e quando si trattava di darsi al vino e alla grappa non erano secondi a nessuno. Difatti: l’obesità dilagava, altro che sportivi.
L’area geografica presentava qualche particolarità ricorrente? No; le cittadine più prossime avevano uguale densità abitativa, uguali ceti sociali, uguali occupazioni. Tasso di mortalità: triplo rispetto a Roseto. Forse qualche anomalia genetica? Wolf rintracciò i parenti dei rosetani un po’ ovunque (il ceppo originario proveniva dall’altra Roseto – Roseto Vafortore, in provincia di Foggia), residenti in altre aree degli Stati Uniti: forse si trattava di un ceppo particolarmente resistente alle malattie. Ma era un vicolo cieco: fuori da Roseto, la gente moriva come le mosche. La situazione sembrava davvero paradossale.
Sennonché, a furia di vivere a contatto con gli abitanti di Roseto, mano a mano che percorrevano le vie di quella strana cittadina di circa 2000 abitanti, il dottor Wolf e il suo collaboratore, il sociologo Bruhn, cominciarono ad accorgersi di una cosa. Una cosa molto, molto curiosa.
Le famiglie di Roseto tendevano ad essere molto numerose. Le interazioni tra i membri di esse, e tra famiglia e famiglia, erano molteplici e quotidiane. La gente chiacchierava nelle piazze, si trovava al bar, andava alla messa, organizzava feste, collette, raccolte di beneficenza; su meno di duemila persone si contavano ben 22 diverse associazioni civiche attive. Lo stile di vita collettivo tendeva alla paritarietà: a unire, più che a dividere. Chi aveva successo non lo ostentava, chi era sfortunato, veniva salvaguardato nella propria dignità tramite aiuti discreti e silenziosi; nessuno veniva lasciato solo.
Bruhn e Wolf avevano eliminato tutti gli altri fattori noti e immaginabili. Quindi, la causa della longevità degli abitanti di Roseto a questo punto poteva derivare solo da una cosa: dalla comunità in se stessa. Dalla sua coesione e dalla pienezza delle sue interazioni sociali. Vale a dire: gli abitanti di Roseto non morivano, erano sempre in salute, erano sereni perché non erano – e non si consideravano – mai soli.
“La comunità,” scriveva Wolf, “era molto coesa. (…) Le case erano molto vicine tra di loro, e tutti vivevano più o meno allo stesso modo” (…) Gli anziani erano venerati e incorporati nella vita della comunità. Le casalinghe erano molto rispettate, e padri si curavano delle famiglie (…)”.
Fu durissima per i due ricercatori far accettare alla comunità medica e scientifica i risultati ai quali erano pervenuti: si era sempre pensato a cause fisiologiche, individuali o accidentali nel valutare lo stato di salute degli individui. Nessuno aveva mai pensato che si sarebbero dovuti considerare i fattori relazionali e la pienezza degli stessi: le amicizie, la famiglia, gli impegni politici e sociali, il gioco, il tempo libero. Era nato un nuovo paradigma: l’Effetto Roseto.
Eppure, era così. E la prova, sotto gli occhi di tutti, fu confermata dalle successive osservazioni: mano a mano che la modernità avanzava, che il dissiparsi delle relazioni si faceva largo, che il successo, o l’insuccesso, economico e sociale veniva trattato in maniera sempre diversa, che le diversità prendevano il posto della paritarietà, che la comunità si dissipava in tanti rivoli individualisti e l’isolamento sociale faceva la sua comparsa, gli abitanti di Roseto cominciarono a morire. Oggi, nonostante tanti yogurt miracolosi e tisane rilassanti, nonostante tanto esercizio fisico, diete salubri e programmi di prevenzione e cura e diagnostica avanzata, i rosetani muoiono nella stessa misura di tutti gli altri abitanti degli Stati Uniti d’America.
Per chi volesse consultare il testo di questa incredibile ricerca, eccola qui:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1695733/pdf/amjph00545-0027.pdf
Nel 1993 è uscito anche il libro che tratta di questo argomento, sempre per mano del dottor Wolf: The Power of Clan: The Influence of Human Relationships on Heart Disease.
E se tutto questo non vi fa venire in mente nessuna morale, decisamente sarebbe superfluo che io ve la indicassi qui.
Abbastanzamente diCarlo Vanni è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.