IL Paese dei Poverini

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luglio 6, 2016 di carlovanni

E’ un istinto primario. Io quando sento dire di qualcuno che è un poverino mi inorecchio subito e ho reazioni tipo quando mordi una pesca che pregusti bella succosa e dolce e invece, toh, ti sale l’acido verde fin nell’ipofisi. E faccio gli occhi che neanche il Lupo Cattivo, che ci devo vedere bello chiaro.

Perché di solito “poverino” prelude a qualche tipo di scusante, tipo, “poverino, non ha studiato”, oppure, “poverino, gli è morta la mamma da piccolo”, oppure “poverino, ha tanto sofferto” o “è bionda”. Tutto ciò per giustificare gente pigra, cattiva, rozza, prepotente, opportunisti ladri incanagliti che venderebbero la dentiera della nonna con la nonna ancora attaccata e che, in virtù di ciò, sono non solo sopportati, ma pure supportati da uno stuolo di compagni, amanti, parenti, amici che ti chiedi come cazzo mai a te non ti caca nessuno che ti fai in quattro per gli altri, e questi qui invece campano di rendita. E il motivo è tutto lì: essi sono dei poverini.

La stessa questione mi si ripropone, come un politico decotto, come la caponata – che poi io digerisco benissimo, mai tornata su – a livello nazionale, quando si affronta uno degli argomenti che, visto che ho tempo e non ho problemi di sopravvivenza, mi fa incazzare più di tanti altri: l’essere italiani.

Io non ho ben capito cosa si pretenda esattamente dall’italiano, ma a occhio e croce mi sembra un po’ troppo. All’italiano è richiesta la precisione del tedesco, la raffinatezza del francese, l’industriosità del cinese, il coraggio spagnolo, l’ottimismo americano, la classe inglese, l’apertura di pensiero scandinava, la frugalità scozzese e la spensieratezza dei giamaicani, la figaggine degli attori, la virilità dei verri da riproduzione e la capacità di stare senza trombare dei monaci delle Meteore greche.

Senza contare che tutta questa gente di cui sopra non ha nessuna delle caratteristiche per le quali viene di solito ricordata. Fuori dagli stereotipi, ci sono un mucchio di stronzi inutili né più né meno in Inghilterra come in Norvegia come in Grecia, per cui, se devo pensare di essere un inutile stronzo, tanto vale che io sia del tipo italiano, che tutto sommato non è proprio malaccio.

Anzi.

Dove ti giri ti giri, trovi un italiano che ha bruciato la concorrenza, che ha spianato la strada a tutti gli altri, che ha elevato il livello dell’umanità di due tacche, prima e meglio di chiunque altro. Individualmente, senza aiuto, partendo da zero, senza il vantaggio di un humus sociale, economico, culturale in grado di avvantaggiarlo. Collettivamente, ci siamo svegliati due volte nella storia, e in entrambi i casi abbiamo cambiato il mondo così irreversibilmente da non poterlo più pensare differente; scienza, diritto, pensiero, arte, economia, politica.

Riusciamo con quello che abbiamo a stare testa a testa con Paesi che hanno duecento volte le nostre risorse umane, politiche, minerarie, storiche. E in moltissimi casi diamo loro una tale paga che la gara non sembra manco leale. Continuare a pensare che siamo dei deficienti che corrono dietro al pallone e poi votano come coglioni è non solo falso, ma anche ingiusto ed indecoroso. Riusciamo a fare cose enormi E pure a comportarci da quei coglioni rozzi che siamo. Ci si provino gli altri.

Ma tutto questo poverinismo fa gioco alla nostra grande attitudine nazionale, che è un po’ chiagni e fotti, in fondo. Quella mentalità atavica da poveri che vorrebbero partecipare alla tavola dei padroni, ma poi non si fidano, e allora preferiscono stare in tinello, che è più sicuro. Che invece di fare la voce grossa preferiscono leccare un po’ il culo per avere l’aiutino da casa. Logiche da pezzenti atavici, dalle quali si esce solo con quelle bambinate spastiche dei rigurgiti fascisti, come se essere fascisti, oggi, fosse qualcosa di cui andare orgogliosi, con cent’anni di prospettiva storica a dirti che sembrava un bel giochino ma poi in fondo che cazzata enorme.

Ma va bene così. Invece di essere orgogliosi e di insegnare l’orgoglio a chi vi sta intorno, continuate pure a fare i poverini, a lamentare un handicap in virtù del quale chiedere sconti; quella grande e variegata categoria – bambini, donne, malati, ignoranti, stranieri e portatori di handicap tutti – alla quale è concesso di provarci, e poi se non ci riescono in fondo vanno capiti e scusati, sia mai che si diano davvero da fare superando i propri limiti e le difficoltà. In stato di natura sarebbero tutti spazzati via in men che non si dica; in stato di poverinismo, carichiamoceli sulle spalle, confortiamoli nella loro indolenza. E andiamo avanti così, a suon di poverino, poverino.

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