O mangiare la finestra

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marzo 8, 2016 di carlovanni

suicide jumpMagari non ve ne siete mai accorti, ma vostra nonna è bravissima nell’argomentare i propri punti di vista e spesso e volentieri vi ha fregato usando tecniche raffinatissime con consumata esperienza e con la naturalezza di chi in queste cose ci sguazza da sempre. Ad esempio, la fallacia logica detta di falsa dicotomia.

Torneremo magari con maggiore attenzione sulle fallacie; per oggi, limitiamoci a dire che sono errori che invalidano il ragionamento, ma che sono spesso così ben nascosti in esso da non farsi notare. A prima vista, il ragionamento sembra filare, e questo porta acqua al mulino di chi argomenta.

La fallacia della falsa dicotomia (conosciuta anche come falso dilemma, falsa scelta, pensare bianco o nero) è in assoluto una delle più comuni e più istintivamente usate, anche da chi non ha particolari abilità in materia.

Consiste nel porre una questione come se ci fossero solo due possibilità di soluzione della stessa, ovvero: un dilemma (due corna). Il che di per se stesso non sarebbe sbagliato: il dilemma é una forma argomentativa nota e valida. Purché ci siano veramente 2 vie da percorrere – o meglio, tre: uscita A, uscita B, o evasione, ovvero tuffarsi tra le corna del dilemma ed evitare la scelta.

La falsa dicotomia simula questa situazione ponendo un dilemma che sull’onda dell’emozione – contesto del discorso, sua pregnanza emotiva e altro – sembra tale, ma che ad una attenta analisi si mostra per quello che effettivamente è: e cioè, una mistificazione. Una bufala.

Prendiamo ad esempio il classico “O mangi la minestra, o salti la finestra“. Alla nonna potremmo opporre la scelta di non mangiare affatto e non per questo sentirci in dovere di lanciarci giù dal quinto piano. O di spizzicare qualcosina, che ne so, un cracker, due olive, una fettina di salame. Oppure niente, siamo qui solo per la compagnia.

Ricordatevene, ogni volta che vi mettono di fronte ad un aut – aut: spesso si tratta di un trucco per farci scegliere tra due alternative altrettanto sgradevoli. Ad esempio: supponiamo che il vostro capo vi metta di fronte alla scelta se adattarsi a fare un sacco di straordinari per il progetto in corso oppure adattarsi ad una riduzione del premio di produzione. Certo, se posta sul piatto magari con convocazione nell’ufficio del Megadirettore Galattico e suono di fanfare potreste sentire la pressione del momento e, sì, piegare il collo di fronte alla scure. Ma a pensarci lucidamente potreste anche scovare diverse altre opzioni: decidere di delegare una parte del lavoro ad un altro ufficio, ad esempio; trovare un modo per avere una deroga sui tempi; trovare un modo per semplificare il progetto, e così via.

E’ un metodo parecchio usato (ed abusato) da molti che hanno, è inutile dirlo, esaurito le argomentazioni valide a loro disposizione; molto comune nelle discussioni tra innamorati e tra genitori e figli, in politica e in tutti i casi in cui vi sia una mancanza di paritarietà tra gli interlocutori.

scuola ateneCome tutti i trucchi di questo genere, conoscerlo é il modo migliore per evitarlo. E’ passata alla storia la batosta che Protagora, grandissimo retorico e padre di ogni sofismo, prese utilizzando proprio questa tecnica per avvantaggiarsi su di un suo ex allievo, che glie la rovesciò addosso pari pari fregandolo. Andò così: il filosofo aveva dato lezioni al giovane Evatlo (o Euatlo) che però non aveva di che pagarlo (i consulenti sono sempre costati cari assai), dietro l’accordo che, alla prima causa vinta, questi avrebbe saldato il suo debito. Siccome però il giovane aveva in seguito deciso di non iniziare la carriera, Protagora lo portò in tribunale per esigere il credito, così argomentando, sicuro della vittoria:

Se la corte mi sarà favorevole, dirà che lo studente deve pagarmi. Se propenderà per lui, egli vincerà la sua prima causa e dunque potrà pagarmi. Sia che la bilancia penda da una parte o dall’altra, avrò infine il mio denaro.

Dove stai la fallacia? Semplice: il furbo Prottigy usa il concetto di vittoria in causa legale molto liberalmente, ampliandolo a tal punto da voler far pensare che la vittoria in quanto cliente abbia lo stesso peso della vittoria in quanto legale, per Evatlo (mentre, a rigor di logica dell’accordo, si fosse parlato di prima vittoria in quanto legale, ovvero nell’esercizio della professione imparata). Evatlo non fa altro che vedere il bluff, sfruttandolo a proprio beneficio:

Al contrario. Se la corte mi sarà favorevole, dirà che non devo pagare. Sa darà ragione a Protagora, non avrò vinto la mia prima causa e non dovrò dunque pagarlo. Sia che la bilancia penda da una parte o dall’altro, non avrò l’obbligo di pagarlo“.

E gli andò anche bene, che nel 161 a.C. retori e filosofi erano stati cacciati in malo modo da Roma, parolai immorali che non erano altro.

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