Semplicità.
Lascia un commentodicembre 25, 2014 di carlovanni
Una volta ero davanti a uno squalo dei prodotti finanziari per un colloquio – sì, ho avuto momento molto bui nella mia vita, ma non abbiate paura: torneranno – e alla sua domanda del perché mi considerassi adatto per quel lavoro, vedendomi un po’ interdetto (non avevo mai pensato di essere adatto. Io volevo i soldi) mi disse: guardi, permette un consiglio? Sia semplice. Dica le cose come le vengono, al di là di qualsiasi valutazione. Tanto non sarà per quello che dice o non dice che la assumerò.
Cacchio. Si dice che quando uno é pronto, il Maestro arriva. Non pensavo mai arrivasse sotto la forma di un sicario di Ennio Doris. In assoluto, una delle lezioni mai ricevute in vita mia.
L’altro giorno ero seduto sul water in quello strano stato d’animo per il quale, catatonico, sai che avresti cento cose migliori da fare, ma non riesci ad alzarti, e allora cadi in catalessi al rumore ipnotico dello scaldino, e la testa mi é andata da sola a considerare alcuni dei miei tanti casini. E all’improvviso é arrivata l’Illuminazione: vabbé, ma se poi non fossero proprio casini? In fondo, la realtà concreta, il vero peso di questa o quest’altra cosa, quale é? Non mangi più? Ti seviziano i Turchi? Ti collassa il pancreas? O non é che il 99% é tutto quello che pensi intorno al problema?
Signori: il Bodhi. Come cita l’Aśvaghoṣa,
“Allora per sette giorni, libero da malessere del corpo, egli sedette contemplando la propria mente e i suoi occhi non ammiccavano mai, il saggio riflettendo che in quel sito aveva raggiunto il “Risveglio”, realizzò il desiderio del suo cuore “.
Il fatto che non si sia trattato di sette giorni ma di un paio di minuti, e che quel sito fosse il gabinetto, non deprezza minimamente l’esperienza.
Vi ricordate quando eravate troppo ignoranti per capire che vi stavano offendendo? Tipo, “Sei un asino!”. E voi pensavate: ma che significa? Io non sono un asino, magari era una battuta, però non l’ho capita. Poi andavate da mamma a dirlo, e mamma vi spiegava che dovevate offendervi, e allora vi offendevate. Ecco, una roba così.
Facciamo che stiamo concentrati e non ci lasciamo prendere per il culo. Che di tutto quello che ci succede, disgrazie, offese, tradimenti, sfighe, ma tutto eh, stiamo lì a considerare solo quale é l’impatto reale sulle nostre vite. Non quello che significa per noi.
Togliamo la percentuale di rabbia, di senso di sconfitta, di rimorso, rimpianto, morte delle aspettative, senso del grottesco, tutto quello che vi viene in mente.
Cosa rimane? Quel ridicolo 10% di vero danno che ve ne viene, di dolore concreto, é sufficiente a farvi stare così male, o é più come quando uno di cui non ve ne é mai fregato un cazzo vi cancella come amicizia su Facebook? (Se ci state male, e so che può succedere, é opportuno che facciate un minimo il punto sulle vostre priorità).
Boh, non so.
La sensazione generale é che siamo molto attaccati ad una specie di bisogno di considerare le cose come se fossero problemi. Da cosa derivi questo, io non lo so. Noia, forse. La ricerca di un senso compiuto in cose che non ne hanno. L’idea che tutto il Creato si organizzi secondo un Disegno del quale la nostra povera testa partecipa.
Il senso di spiazzamento nel pensare: ma visto che in realtà adesso non ho poi niente di concreto di cui preoccuparmi, o di cui occuparmi, per l’amor d’Iddio, cosa faccio?!!?
Allora, diventa tutta una questione di trovarsi un buon hobby.