Mazinga è meglio del Prozac. Ventiduesima puntata
Lascia un commentogiugno 23, 2014 di carlovanni
Uno strano salto nella fantascienza classica all’americana è quello propalatoci da “Buck Rogers”, filiato in modo assai irregolare dall’omonimo fumetto e portato sul piccolo schermo come una sottospecie di western con pistole a raggi, né più né meno; senza contare che il buon Buck andava a braccetto con un tizio, tale Hawk, definito “uomo uccello”, nonostante tutto il suo essere volatile si riducesse poi ad un brutto caschetto di penne posticce e ad un naso adunco, posticcio anch’esso.
Se non sbaglio, Hawk era l’ultimo della sua specie, cancellata dall’Universo in quanto portatrice di psittacosi. O forse, era aviaria. O forse, erano i cinesi, e probabilmente, mi sbaglio di grosso io; ad ogni modo, a meno che il nomignolo ”Uomo Uccello” non alludesse a qualche nascosta virtù del suddetto, la galassia non penso abbia sofferto in modo particolare della sparizione di questa inutile specie aptera, e neanche noi abbiamo pianto, nel momento in cui la programmazione è cessata.
Invece, la sparizione dei deliranti prodotti giapponesi relativi all’idea di fantascienza ha lasciato un certo vuoto, specie nei cuori dei cultori del kitsch estremo.
Chi non ricorda, ad esempio, con un certo magone i pupazzi di gommapiuma di “Megaloman”, combattuti da un gigantesco, isterico transex in attillatissimo costume glam rock con tanto di pacco in rilievo?
Chi non si è esaltato alle minacce paraecologiche di “Koseidon”, nel quale finivano i mostri scartati per eccesso di bruttezza e ridicolaggine dal set di “Megaloman”?
Chi, infine, non ricorda con un soprassalto del cuore quella cretinissima ispirazione di “Star Wars” che era “Guerra tra Galassie”, benedetta da personaggi carismatici che parevano tratti pari pari dalle scatole Lego?
No, no: i veri pusher della fantascienza televisiva erano, e restano tutt’ora, gli americani.
In pochi, forse, ricorderanno l’ambigua “Project UFO”, serie che stava a metà tra la fiction ed il documentario con pretese di cronaca: così brutta, ma così brutta che a tutt’oggi sono convinto che il suo vero scopo fosse stanare gli alieni residenti sulla Terra.
I Men in Black li avrebbero cercati tra quanti avrebbero inviato petizioni per chiudere la serie, considerata offensiva. Sfortunatamente, non avevano considerato che anche i comuni terrestri avrebbero potuto non rimanere esaltati dal telefilm, che così si disseccò per mancanza di share.
Molto più famoso, invece, “Visitors”, scemeggiato dall’incipit che era una patente pretesa di riecheggiare l’avvio de “La Guerra dei Mondi”, visto come andò subdolamente in onda a sorpresa, sotto le mentite spoglie di un servizio straordinario; peccato che di H.G. Wells, e, se è per questo, di Orson Welles, ce ne sia stato solo uno, e le idee tutto sommato non del tutto spiacevoli messe in campo si arenarono in una deludente fanta love story con tanto di cattivi assolutamente indigeribili, modello “Dallas”, per intenderci. Del resto, i prodotti che tiravano in quegli anni erano quelli.
Rimarranno per sempre nel mio cuore, invece, i primi cyborg televisivi: dall’officina di Oscar Goldman, specie di curioso traffichino in bilico tra lo scienziato, l’agente segreto ed il semplice imbucato, uscirono sia la Donna Bionica che l’Uomo da Sei Milioni di Danni, pardon, di Dollari.
Le due serie sono tanto simili che, in pratica, si possono fondere in una sola, per semplicità dello spettatore; del resto, i due poveri esperimenti scientifici, Steve Austin e Jaime Sommers, sono persino fidanzati.
Allora, delle due, l’una: o si sono messi insieme dopo i rispettivi incidenti, per quel genere di simpatia che spesso nasce tra i portatori di simili sfighe (che so, gruppi di auto aiuto per cyborg, vai a capire); e sarebbe anche spiegabile; oppure, se erano già una coppia, o erano baciati dalla sorte, oppure c’era qualcuno che aveva deciso che farne delle cavie poteva essere un’ideona, e gli incidenti non erano tali, bensì un diabolico progetto. Dell’imperscrutabile Goldman? Forse…
Insomma; li hanno ricostruiti tutti e due, più forti, più veloci. Tutte e due le gambe, un braccio a testa, lui un occhio, lei un orecchio, così non litiga nessuno. Mi immagino la vita degli eventuali poveri figli: un incubo. A ottocento metri di distanza, uno non può farsi una sega in santa pace che la madre lo cappella subito.
Un mistero mai risolto è come cazzo mai facessero quei potentissimi arti bionici a non scavagnare il resto del corpo, quando applicavano tutta la loro forza superiore; voglio dire, potrai anche avere gambe potenti e instancabili, ma se ti fai i duecento piani in tre secondi e mezzo, sempre che la spina dorsale non te la ritrovi all’arrivo che si fuma una sigaretta, hai anche bisogno di un cuore di alluminio e di polmoni come il baule di un Mercedes, sennò scoppi.
E invece, loro: SPPPPRRRROOOINNGGGGGGGG, quell’inconfondibile stiracchiarsi di molle del Permaflex sotto sforzo (il che la dice lunga, circa l’eccezionalità del materiale utilizzato), segno certo che la tecnologia era all’opera. Meraviglioso.
Non che il realismo fosse il punto forte della SF televisiva.
A molti, per anni è rimasto il dubbio che con un computer abbastanza potente (comunque, almeno un Commodore 64, il VIC 20 non era credibile) si potesse creare un amico ologramma con tanto di automobile ipertecnologica al guinzaglio, come in “Automan”; dura a dirsi, a tutt’oggi non è possibile nemmeno con il più avanzato dei CAD. E se pensate di crearvi la donna dei vostri sogni, tanto vale che consultiate il catalogo delle mignotte della vostra città via Internet; in questo senso, il computer facilita veramente la vita.
Circa l’altro immarcescibile alfiere delle strade, “Supercar”, il pilota guidava un’auto così tecnologicamente avanzata, KITT, che il problema della credibilità non consisteva nel fatto che lui parlasse con l’auto; no, era esattamente il contrario, mi sono sempre chiesto per quale motivo l’auto si abbassasse a rivolgergli la parola.
Infatti, dopo un po’ (mai troppo presto, secondo me), l’apparentemente indistruttibile sodalizio si è rotto, e la macchina, realizzato che poteva fare benissimo tutto da sola (forse non era così intelligente, per essersene accorta così tardi) ha mandato a cagare il pilota.
Che però ci ha guadagnato, perché si è ritrovato immerso fino al collo nelle sorche di “Baywatch”; quindi, può essere che tutto sommato non fosse così scemo.