Ascoltateli, i figli di Bret Easton Ellis. Che musica fanno, eh?
Lascia un commentogiugno 9, 2014 di carlovanni
Un momento davvero triste nella vita di uno che ama leggere: mettersi a scrivere. Ma ancora c’è speranza; cioè, se smetti presto, perchè tutto il tempo che passi a cercare di scrivere stronzate di cui il mondo già trabocca è rubato al piacere vero, quello di perderti in un dialogo che non è uscito dalla tua testa.
Il peggio comincia quando ti trovi a recensire quello che scrivono gli altri. Recensire è male. Ma non perchè è una cosa malvagia. E’ perchè non si capisce da che parte si deve guardare.
Voglio dire: è giusto dire a qualcuno che quello che ha scritto fa cacare un tonno a pinne gialle? Da un punto di vista strettamente darwiniano, sì; anche come autodifesa, ha il suo perchè. Ma non staremo forse distruggendo un giovane virgulto che un domani potrebbe partorire un capolavoro? La risposta è: NO, ma quando mai!?!? però si cerca di non farlo perchè sta brutto.
Però il problema continua a saltar fuori, e tu una risposta la devi dare; o perchè ti pagano per scrivere di quello che hai letto, oppure semplicemente perchè ti va. Va detto subito che nella seconda ipotesi sei infinitamente più libero di scrivere quel cazzo che vuoi, fermo restando che una querela può sempre ugualmente arrivarti e che la buona educazione ed il buon gusto sono necessari, sempre e tutto sommato, anche se non accompagnati alle Verità Universali – sì, perchè in fondo si tratta di gusti tuoi. Anche se, diciamocelo, se uno scrive che fa cacare, fa cacare.
Questa era la premessa. Per arrivare a dire che non c’è solo la pena di trovarsi a leggere Bret Easton Ellis, nella vita. No, c’è anche l’estremo disagio di leggere quelli che si sono ispirati a lui nello stile, per cominciare a scrivere. Io non ce l’ho con chi apprezza Easton Ellis, ci mancherebbe. Intanto, nella vita si fanno tanti errori, l’importante poi è capire dove si è sbagliato. Poi, i gusti son gusti. Il fatto che a me sembri uno degli scrittori più sopravvalutati di tutti i tempi – e credo che il fatto che sia un contemporaneo lo inquadri alla perfezione, come tempi, visto che di questi tempi non sono poi mica moltissimi quelli che si salvano, ovvero, che spacciano con grande levità merda radioattiva travestita da letteratura – è ininfluente, o dovrebbe esserlo, sia sul giudizio di chi invece crede sia uno scrittore, sia su quello che crede sia uno dei tanti pseudonimi del Bafometto.
Ma sia chiaro: nel mercato, o nel mondo, c’è posto per tutti. Tanto, pagate voi.
La cosa si fa torrida quando devi recensire gli autori giovani, alle prime o primissime armi, e su dieci libri che leggi ne trovi 7 che si ispirano, nello stile, a Bret Easton Ellis; cioè, all’Easton Ellis di American Psycho. Adesso ditemi voi se credete possa essere affascinante produrre qualcosa che va dalle 250 alle 400 pagine di puntualizzazione ossessiva circa la marca di ogni singolo oggetto che entra in scena, prezzo e punto vendita compreso (io mi farei pagare per il servizio), descrizione ossessiva anal-ritentiva di situazioni così noiose che nella vita ci ridurrebbero a impiegati del catasto in 5 minuti 5 (e messe su carta di certo non assumono un particolare brio), dialoghi che potremmo definire stereotipati, se non fosse che usare il termine stereotipato è uno stereotipo, il tutto giusto per condire qualche dozzina di scene di ultraviolenza totalmente fine a se stessa che, in sé, in realtà a me non dispiacerebbe nemmeno, ma che viene orridamente spenta e maciullata nell’ovvia considerazione che fa cornice a tutto il resto: la giustificazione di tutto ciò. Ovvero: viviamo una vita alienata, che ci porta a sclerare, e bla bla bla la colpa è della società. Sottotitolo: ma chi se ne frega?
Aggiungerei anche che chi prende ad esempio questo scrittorino potrebbe soffermarsi 5 minuti su di una considerazione: quello di questo libro, non è uno stile. Non è un modo di raccontare una storia. E’ il suo esatto contrario; è la discesa agli inferi del nulla cerebrale ed esistenziale moderno che Ellis cerca, secondo me con alterna fortuna, e sicuramente con un buon 70% di pagine di troppo, di mettere giù un non-stile, una descrizione pedissequa di idee-stati d’animo-oggetti soggettivati (questa è forte, oggetti soggettivati la userò in qualche status così mi dicono che sono intelligente).
Può piacere o non piacere; a me ha fatto abbastanza, come dire, niente.
Poi vorrei anche sostenere quanti, avendolo letto, ancora si chiedono se non ci sia qualcosa di sbagliato in loro, che non ci hanno capito un cazzo. Tranquilli: non c’è niente da capire, potete al limite guardarvi il film, quelli che ci capiscono più di voi si stanno solo ganassando.
Se nel ventunesimo secolo ancora ci interroghiamo sul perchè o il percome una storia funzioni, nel mentre dimenticandoci completamente che per questo si deve a) avere una storia da raccontare, b) raccontarla, porca puttana, non siamo così avanzati come facciamo ogni giorno professione di fede di dichiarare.
Il dover recensire quanti hanno tratto da questo libro ispirazione, invece, dalla noia, alla disperazione al nervoso; sa Dio come non si sia venuti alle mani con persone diversamente anche simpatiche e capaci.
A tutti gli imitatori di Bret Easton Ellis, un cordiale Buonasera, e la penitenza di leggersi Latin Lover di Vera Gemma.