Mazinga è meglio del Prozac. Ventunesima puntata

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Maggio 20, 2014 di carlovanni

Capitolo ottavo

La mia macchina è, ad essere molto, molto gentili, un catorcio. Innanzitutto, gli standard dei comfort sono ai limiti della sopravvivenza: assenti la chiusura centralizzata (che?), i finestrini si tirano giù, ovviamente, a manovella; per salire dietro, essendo una pratica e compatta due porte, occorre impegnarsi in contorsioni degne del Cirque du Soleil. Il climatizzatore è composto da due pratiche correnti d’aria trasversali, arricchite di acqua quando piove (è bene mettere qualcosa sul sedile, sennò quando scendo sembra che io mi sia pisciato addosso), mancano i fendinebbia, il servosterzo è un’utopia e pure il tergilunotto, da un bel pezzo mi ha abbandonato al mio destino.

A parte il rischio di essere costantemente pizzicato dai vigili urbani, per emissioni non esattamente rispondenti agli attuali deliri dei regolamenti urbani (direi che a questo punto non c’è la sanzione: mi giustiziano, direttamente lì, sul marciapiede), e quella della frenata con sorpresa (a volte esci dal parabrezza, a volte carichi l’anziano sulle zebre e lo depositi 30 metri più in là), c’è un’unica emozione che ogni giorno questa vecchia ciabatta mi regala.

La combinazione di disgrazie insanabili tra cambio, frizione, pedali e sedile basculante, ogni volta che parto, fa sì che io mi schiacci all’indietro come se fossi sottoposto a 5 G di accelerazione!!!

Ogni volta, mi sento un po’ Scorpion, quando parte col suo intercettore dal Galactica!!!

Da noi, “Galactica” è andato in onda, in una fascia oraria piuttosto disgraziata (verso le 4 del pomeriggio, se non sbaglio) nell’82, schiacciato tra la TV dei ragazzi, le telenovene ed i vari giochi a premi con ruote della fortuna e alfabeti vari; era un telefilm non particolarmente interessante, i cui episodi tendevano un po’ ad assomigliarsi uno con l’altro.

L’idea di base era che la specie umana fosse di origine extraterrestre, e che gli abitanti della Terra fossero stati messi qui per colonizzarla.

Questa teoria mi sembra abbastanza plausibile, tutto sommato, anche se con un piccolo, necessario correttivo.

Secondo me, hanno sbarcato i più deficienti del mazzo su questo pianetino dicendo loro, ehi, adesso esplorate un po’, vi aspettiamo qui per l’ora di cena!!! E appena questi si sono allontanati di un paio di chilometri, ZAC!!! Il razzo è ripartito di gran carriera, mollando qui i nostri lontanissimi progenitori a chiedersi, ma quando torna? E quando si cena?

Ciò spiegherebbe molte cose, a mio giudizio.

Comunque.
La serie nasceva con l’idea di sfruttare il successone del primo “Guerre Stellari”, che mai si sarebbe comunque pensato diventasse l’attuale macchina da quattrini; difatti, appena uscito il telefilm, subito la 20th Century Fox ha citato i produttori per plagio (sì, c’erano, come dire, almeno metà delle idee scopiazzate); allora, la Universal, che non era composta da cretini, replicò, certo, e allora, tutte originali, le idee vostre?
Curiosamente, Lucas e compagni hanno subito abbassato la cresta.
Chissà perché, eh?

Non mi rimane granchè, di questo telefilm, a parte la sensazione delle accelerazioni da colpo di frusta autoindotto, e i nemici Siloni, che tutto sommato erano anche suggestivi, e anche un po’ teneri, con quella lampadina in mezzo alla fronte e l’incedere da Boscaioli di Latta: che speranza potevano avere, contro gente che si muoveva in maniera normale?
Nessuna.
E infatti, andavano giù come barattoli al tirassegno: guarda, ci sono gli umani, ZAP! Dove, ZAP!!! Un occhio solo, le giunture inchiodate, e ci mettevano pure quei dieci secondi, a girarsi…mah. Povere stelle. Logico che le storie, poi, non risultassero proprio memorabili.

Da noi, la fantascienza era arrivata in mondo ben diverso: a parte le allucinate atmosfere di sceneggiati tipo “A come Andromeda”, delle quali mi ricordo solo dialoghi interminabili e pallosi tipo “Tribuna Sindacale”, e sfondi bianchi che più bianchi non si può, già sui banchi della scuola elementare ci avevano spacciato gli album di figurine di “Spazio 1999”, che è a mio avviso, a tutt’oggi, la più allucinata, terrificante, angosciosa serie di SF per la TV mai realizzata da mani umane, oltre che la meno scientificamente plausibile.

Allora: il Comandante John Koenig, che potremmo anche chiamare “Fortunello”, arriva sulla Luna; lo hanno appena promosso, “Vedi, John, c’è bisogno di una persona come te, sacrif…ehmmm…in gamba, sai, è un bel posticino, un planetoide sterile in cui non succede mai un cazzo, arredamento IKEA tirato via alle svendite, il sabato sera c’è tanta vita come gli altri giorni della settimana (ovvero: zero meno), il personale è formato da un mucchio di depressi ansiosi, e, piccolo particolare, abbiamo accumulato sulla faccia nascosta, ehm, qualcosa come il volume del Madagascar di scorie nucleari altamente instabili AHEMMM. E, quindi, buon viaggio, e congratulazioni, eh?”.
Difatti; prende possesso della scrivania il 9 settembre 1999, e il 13 settembre le scorie esplodono (vabbè), provocando l’uscita della Luna dall’orbita terrestre. Il nostro amato satellite, patria ideale di tanti poeti, sognatori, innamorati e rimbambiti, si trova così lanciato nel cosmo, come una gigantesca astronave senza controllo.
Assistiamo da lì in avanti, stupefatti, al moltiplicarsi delle avventure del disgraziato Koenig che, attirandosi le sfighe come una calamita, non c’è puntata che non si scontri con qualche devastante rogna interstellare, razza aliena ostile (o semplicemente stronza nell’intimo), forme di vita grottesche e, naturalmente, pericolose (ma ci mancherebbe: cazzo, le trova tutte lui!!!), sempre immersi in una atmosfera angosciante e allucinata, nella quale si capisce benissimo che i protagonisti sono praticamente sempre dei poveri sorci in trappola, e non la sfangheranno se non proprio alla fine, per il rotto della cuffia e, comunque, lasciandoci un pezzetto di culo vicino all’osso.

L’idea di base per questa serie era quella di un sequel per la serie “UFO”, quella mitica col Comandante Straker, della quale non parlerò affatto avendone visti si e no dieci minuti in totale. Gli ideatori: una coppia di attempati coniugi inglesi, gli Anderson, che lavoravano praticamente nel fienile di casa con mezzi inizialmente stentatissimi (non che non si veda, eh!!!), cui dobbiamo anche cose tipo “Thunderbirds”, “Stingray” ed altre simili burattinate inquietanti.
Il buffo è invece che “Spazio 1999” ha finito coll’interessare nomi molto grossi, sia dietro, sia davanti la macchina da presa: attori del calibro di Christopher Lee, Peter Cushing, Orso Maria Guerrini, colonna sonora con contributi di Morricone, effetti speciali che, in seguito, avrebbero arricchito “L’Impero Colpisce Ancora” e “Alien” (scusate se è poco: il massimo del massimo, anche paragonato a quello che c’è oggi…).

Che io sappia, la Luna non è mai più tornata al suo posto, anche se in una puntata era così vicina alla Terra da captarne le trasmissioni; per l’occasione, si scopre che il tempo dei due pianeti si è sfasato, e Koenig riesce ad assistere alla fine del mondo, in un futuro molto lontano (roba da Charlton Heston…). Che con la lungimiranza degli autori di fantascienza, potrebbe anche essere il 2050, non ricordo: c’è sempre la tendenza a piazzare le storie in un futuro tanto remoto che poi, quando arriva, gli scenari risultano comunque improbabilmente futuribili.

A me, hanno sempre assillato alcuni interrogativi, su questa serie.

Circa le occhiate di pura lussuria che il Comandante Koenig si scambiava con la dottoressa Helena Russell, una donna che aveva spaventosamente sbagliato la tintura dei capelli, ho trovato la risposta al quesito: i due, nella vita reale, erano sposati. E questo è anche un bel colpo per l’amore romantico, a dirla tutta.
Quello che non ho capito è: perché le stesse occhiate infuocate la Russell le scambia anche con quel terribile porta sfiga del dottor Bergman? E perché il dottor Bergman fa a sua volta gli occhi dolci a Koenig?
E perché Alan Carter, il prode comandante della flotta di Aquile (astronavi estremamente falliche, a dire il vero) cammina sempre con le chiappe rasente alla parete?

C’è un’unica risposta, a tutti questi interrogativi: a bordo della Base c’è una cronica mancanza di figa. E’ lampante. Tant’è vero che nella seconda serie, l’arrivo dell’aliena Maya, benché abbia le sopracciglia formate da nei pelosi (ugh…), non è affatto malvista, anzi.

Del resto, si tratta di un problema demografico più generale, che si potrebbe riassumere in questi termini: considerato che ad ogni puntata subiscono danni devastanti, morie inspiegabili, attacchi alieni, avvelenamenti, fughe di gas, impatti con meteoriti e via di questo passo, quanti cazzo erano, in quella base, all’inizio? No, perché o erano decine di migliaia, oppure si riproducono (e diventano adulti) ad un tasso superiore alla mortalità!!!

Oppure, ancora: si mettono giù e fanno i morti, ma solo per finta, perché non hanno voglia di fare un cazzo. E questo spiegherebbe anche perché, alla fin fine, si vedono sempre e solo i soliti quattro gatti (vabbè, anche per esigenze economiche: le comparse, costano…).
Dicevo: non hanno voglia di fare un cazzo. Sono depressi, sminchiati; il che sarebbe scusabilissimo, visti la situazione, l’arredamento ed i costumi. E allora, appena possono, si buttano per terra ed esagerano di molto le proprie condizioni.

L’ipotesi della depressione globale trova anche conferma nella mitica puntata in cui gran parte dell’equipaggio finisce sul pianeta Piri, la cui atmosfera è in grado di causare uno stato di benessere allucinatorio in chiunque vi soggiorni. Mai visti così felici, gli Alphani. Ridono, mangiano, bevono, scherzano, chiavano come ghiri: se la spassano. Fino a quando non arriva quel rompipalle di Koenig e li porta via, risvegliandoli: restando lì, corrono un tanto grave quanto non precisato pericolo!!!!

Ma io dico: meglio morire felici, o vivere anni angosciosi alla Base Alpha? Mah. E’ dura, eh…

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