Zero History, Zero Storia, di William Gibson
2aprile 2, 2014 di carlovanni
Tutti noi conosciamo il prode William Gibson il quale, forte di una sintassi e di un lessico anche solo vagamente comprensibile – il che, nell’ambito della sua vague Cyberpunk, era una cosa molto rara – a suo tempo fece sfracelli, e riuscì persino a piazzare un discreto colpo al botteghino con un film veramente di merda quale “Johnny Mnemonico”, tratto dall’omonimo racconto compreso nella raccolta “La notte che bruciammo Chrome”.
Sì, mi sto ganassando, ora atterro.
Comunque, se volete ritrovare un poco quel mondo lì, che sembrava avrebbe cambiato tutto e invece è imploso, leggetevi l’antologia “Mirrorshades”, aggiungete Alec Effinger e ci sono più o meno tutti.
Gibson, inutile girarci attorno; i lavori che contano sono Neuromante, Giù nel cyberspazio e Monna Lisa Cyberpunk; tutto il resto è noia, per dirla con Califano.
Quanto al presente Zero History, giudicate voi:
mi siedo a fare colazione e lo apro. Comincio a leggere. Alla quinta pagina mi sembra di ricordare qualcosa. Alla ventesima pagina -sono arrivato all’ultima forchettata di fagioli – mi rendo conto che l’ho già letto. Questo, per dire l’impatto che aveva avuto su di me, il ricordo indelebile lasciato.
Per cui, l’ho chiuso e sono passato ad altro, pace.
“… Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto…”
Ieri mattina leggevo che la facciata dell’albergo somigliava all’espressione di un tizio che stia per addormentarsi in metropolitana. Io non so che cazzo di alberghi frequenta Gibson, ma sono quasi certo si tratti di un disturbo neurale.