Doctor Sleep, di Stephen King

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febbraio 24, 2014 di carlovanni

Per un po’ mi sono baloccato con l’idea di farne una pre-recensione, ma poi il tempo è tiranno e ho finito di leggerlo prima di aver voglia e tempo di scriverne.

Molto in breve.

Che si trattasse di una operazione meramente commerciale, lo si poteva capire sin dalla scritta che campeggia in alto, sulla copertina: “L’ATTESISSIMO SEGUITO DI SHINING”.

Attesissimo da chi? Voi avete mai desiderato sapere che fine avesse fatto Danny Torrance dopo lo scoppio della caldaia? Io, onestamente no. E se devo proprio dirla tutta, non è nemmeno che “Shining” fosse questo capolavoro di cui tutti cianciano da decenni. Una cosa è il film (scusate se alla regia c’è Kubrick e davanti all’obiettivo, Nicholson); altro è il libro, che si apre molto bene, avanza a fatica e si chiude a cazzo di cane, come quasi tutti i romanzi di Stephen King.

Per me, King non è uno da romanzi. Il romanzo ne mette a nudo i principali problemi come scrittore: pigrizia, disonestà, ricorso ad artifici scenici, pochezza di idee, cannibalismo, plagio, incapacità di concludere, prolissità. I romanzi veramente belli di Stephen King, in mezzo alla sua spropositata produzione, sono alla fine pochi: L’incendiaria, Christine, la macchina infernale, La Zona Morta, Le notti di Salem. A voler essere generosi, anche La metà oscura e il paraculissimo Il Miglio Verde. Il resto, va dal profluvio al nonsense all’orribile orrore vergognoso, come la saga della Torre Nera nel suo complesso, o il vomitevole Tommyknockers; e salviamo, con lode, alcune cose scritte come Richard Bachman, primo fra tutti La Lunga Marcia. Chi parla di King portando in trionfo L’Ombra dello Scorpione o It spesso non nota che sono romanzi che, letteralmente, non vanno da nessuna parte, perchè partono da nessuna parte.

La vera dimensione di King è quella del racconto, e neppure del romanzo breve (novel novelette); prendi “Stagioni diverse” o “A volte ritornano” e capisci a) che hai di fronte un genio, b) che King per essere onesto dovrebbe avere in casa una statua di bronzo del culo di Matheson, da baciare ogni mattina (noi che leggiamo sappiamo il perchè).

Ma tornando a bomba, e senza anticipazioni che danneggerebbero il gusto della lettura.

Questo libro c”entra con Shining tanto quanto me con Roger Moore. Sì, ne “Il Santo” era tostissimo, ecco tutto. C’è un lieve collegamento del quale si sarebbe potuto fare a meno in qualsiasi istante, ragion per cui non ho dubbi circa il fatto che si tratta di una furba operazione a strascico.

I personaggi sono appena accennati, stereotipati e mai credibili. King introduce avvenimenti, fatti e figure come se si trattasse di verità storiche ed inoppugnabili, il che non è anche tenendo conto del fatto che la stragrande maggioranza dei suoi lettori è un suo fan, e quindi gioca in casa. Ma questi lettori si dovrebbero chiedere: se fosse il primo libro che leggo di un autore mai letto prima, come lo considererei? Cercherei altro di suo? Molto onestamente.

La costruzione della tensione, invece, vi stupirà. Nel senso che se la trovate, ne resterete stupiti. Io non l’ho trovata; la storia si dipana dall’inizio alla fine in modo piacevolmente piatto e uguale, con appena un paio di colpi di scena à la deus ex machina giusto per risolvere situazioni che altrimenti non avrebbe saputo risolvere.

Un fatto è certo: di King, da tanti anni non sto comprando niente. Di altri – Cornwell, O’Brien, Koontz, Jennings, Stone, ad esempio – tutto. Un motivo ci sarà.

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