Mazinga è meglio del Prozac. Dodicesima puntata.
Lascia un commentofebbraio 6, 2014 di carlovanni
I successivi prodotti, purtroppo, si muoveranno spesso nello stesso solco. Le azioni della fabbrica della tristezza hanno avuto una netta impennata, e ci sono voluti anni, perché passasse l’ubriacatura collettiva.
Ricordo una cosina particolarmente positiva ed allegra, ad esempio, che si intitolava “Anna dai capelli rossi”, essendo la protagonista una ragazzina di nome Anna e dotata di capelli rossi.
La sigla, di per sé, era fuorviante: un testo felicemente depressivo era accompagnato da “Rivers of Babylon”, dei Boney M; tu ti mettevi a ballare, e zac! Il suggerimento subliminale della tristezza ti si insinuava dentro, e metteva radici!!!
Stavolta, non si tratta di un romanzo francese, ma dell’opera, molto autobiografica, della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery; la quale, visto che si è goduta un’infanzia a dir poco terrificante, ha pensato bene di farcela sorbire ben bene pure a noi, per interposta persona. Pardon: cartone animato.
E infatti; Anna nasce da due poveri cristi che muoiono, dopo soli tre mesi, di una malattia infettiva non meglio precisata (la S.F.I.G.A., “Sindrome Fottutamente Inevitabile Giapponese Animata”). Non avendo parenti prossimi, viene affidata ad una vicina, che per fortuna rappresenta una sicurezza: povera da pezze al culo, e con un marito alcolizzato. Ma niente paura: ben presto, il simpatico etilista, in cerca di un posto in cui riposarsi, si sistemerà comodamente su binari.
Puntuale come quando c’era Lui, il treno passa. C’era da dubitarne?
Bene. Allora, Anna viene presa in carico dalla famiglia Hammond, che ha già 8 figli; uno più, uno meno, pensano, non farà una gran differenza…
E naturalmente, a questo punto, il signor Hammond muore. Fino alla puntata precedente, scoppiava di salute.
La consapevolezza che Anna porta sfiga finalmente si fa strada nelle non così brillanti menti della comunità; e, finalmente, la sbattono all’Orfanotrofio.
Dopo 5 mesi, “per un errore”, anziché consegnare alla famiglia Cuthbert un ragazzino innocente, normale e, soprattutto, non portatore di una nera nuvola di disgrazia, l’Orfanotrofio smolla loro Anna.
Dobbiamo avere pietà di loro? Ma suvvia…volevano assicurarsi manodopera gratis, mica erano due angioletti!!! Chi è causa del suo mal, pianga se stesso!!!
Difatti, Marilla e Matthew, fratello e sorella, si troveranno a crescere una bambina ribelle, dispotica, malata di protagonismo, di ansia da prestazione, e, diciamocelo tutto, anche un po’ stronza.
Per fortuna, quando le cose si metteranno meglio, Matthew sarà stroncato da un infarto (causato da un tracollo finanziario: come se ci fosse da dubitarne), e Marilla cadrà anch’essa gravemente ammalata.
Altro serial di terrificante inesorabilità nella progressione della sfiga è il simpatico “Sui monti con Annette”, nel quale facciamo la conoscenza di una simpatica bimba che, nel momento in cui la madre muore, si assume praticamente in toto la tutela del fratello minore; dando prova, a questo proposito, di una capacità maniacale di assumersi il compito, tanto da tagliare ferocemente le gambe a chiunque si metta in mezzo.
In breve: Annette è una bastarda terrificante! Una macinacazzi d’assalto, destinata a diventare un’arpia in carriera, ossessionata dall’invidia del pene, che andrà in giro con cesoie da giardiniere per estirpare quelli altrui a mo’ di erbacce.
E si spiega così, allora, anche tanta attitudine alla dolcezza esibita dalle donne della nostra generazione, se non vado errato.
Ma anche il nostro meraviglioso panorama letterario ha saputo regalare pagine molto intense al mondo dell’animazione nipponica. Tratte da – ma c’era davvero, un’altra possibilità? – “Cuore”, di Edmondo de Amicis, che da noi ha gettato le basi per un sistema moralistico, prima ancora che morale, destinato a durare a tutt’oggi.
Schiere di piccole vedette lombarde morte sulla bandiera (per essere state così coglione da farsi béccare a fucilate), piccoli scrivani fiorentini destinati ad intrecciare canestri per tutta la vita, dopo essere diventati ciechi per lavorare a cottimo a lume di candela, pruriginose maestrine che ti fanno intravedere la penna rossa, e poi non te la danno: ce n’è abbastanza, per cuocere al fuoco lento del senso di colpa e del disadattamento sociale intere generazioni.
Ovviamente, non poteva essere scelta altro che “Dagli Appennini alle Ande”, che diventa semplicemente “Marco”; l’orfano che si faceva a piedi tre continenti per cercare la mamma in Argentina, era un soggetto troppo ghiotto per non essere sfruttato. Ma probabilmente, causa la curiosa scarsità di morti ammazzati e di rovinati economicamente, il cartone non è che abbia poi avuto tutto questo successo.
O forse, era semplicemente che, piacendo a Dio, l’era degli orfani animati era finita.
Forse, l’ultimo rimasuglio di questa ventata di follia è stato “Hello, Spank”, storia semiseria di una ragazzina che, orfana, e completamente priva di amici, si invaghisce di un cane.
Ma lui, come spesso accade a una donna, quando più ne ha bisogno, è proprio un bastardo.