Mazinga è meglio del Prozac. Nona puntata.
Lascia un commentogennaio 20, 2014 di carlovanni
Capitolo quarto
Sì, i cartoni che piacevano a noi erano violenti, cattivi, rumorosi, e ci avrebbero trasformato in tanti disadattati con problemi di abuso da stupefacenti. Sì, molti bambini sono morti perché si sono buttati dal balcone, e nessuno ha mai lanciato loro i componenti.
E ancora: sì, mio cugino ha visto uno che c’aveva due corna così, e ha detto: ecco Goldrake! E il mio salumiere, una volta, ha dato un cazzotto a sua moglie, che l’ha perforata. Tutta colpa dei cartoni dei robot.
Quelli per famiglie, invece, vuoi mettere? Predisponevano alla pace, e alla tranquillità. Se ti sentivi un po’ fuori posto nel mondo, ti bastava una dose di “L’Apemaia” e tutto sembrava che ti sorridesse. Se poi ti ricoveravano perché dicevi che avevi visto insetti parlanti, beh, ci sono ovunque danni collaterali, è una spiacevole necessità.
Il primo cartone per famiglie di cui ho memoria è certamente “Heidi”, per il quale avevamo addirittura il permesso di interrompere i compiti di scuola: perché Heidi (pronuncia: Aìdi) era bello, tenero, educativo, parlava di bambini e sprizzava positività e buoni sentimenti.
Beh, non posso negare che in parte fosse una fama meritata. A parte il fatto che era il primo lavoro di Hayao Miyazaki, un genio assoluto, ma effettivamente quella bambina colle guanciotte rosse metteva davvero allegria.
Suo nonno, magari, un po’ meno. Conosciuto col simpatico nome de “Il Vecchio dell’Alpe”, questi è diverso da come vi immaginereste un tenero nonnino: alto circa due metri, due metri e dieci, pugni come due prosciutti, buono di sollevare un cavallo su una spalla, si dice si fosse isolato dal villaggio per i suoi sensi di colpa, da quando aveva litigato con il proprio figlio per via della di lui moglie; e, guarda che caso sfortunato, i due erano subito morti.
Secondo me, c’è dell’altro.
Basta guardare che faccia fanno i villici, se per caso lo incontrano: sbiancano, farfugliano, strascicano i piedi e, in genere, tendono a tagliare la corda molto presto. Il nonno, a guardarlo bene, c’ha più del pluriomicida, di quelli che si sono scannati e mangiati tutta la famiglia in un accesso di “follia da tormenta”, magari.
Ed è per questo che ci sta subito simpatica la zia Detta, che porta quel tenero frugoletto che è Heidi dal vecchio orso e la smolla lì, senza nemmeno voltarsi indietro un minuto. Ma complimentoni! Per quello che ne sa, il vecchio può ficcare la bambina nello stufato, tanto per variare l’annosa dieta a base di capre; oppure, violentarla lì sull’uscio, e scaraventarla in un crepaccio!
Ma forse, è proprio per questo, che ce la lascia…
Comunque, se questi sono i turpi piani, sono destinati a fallire: la piccola in breve si rigira il nonno come pare a lei, sottomette il mite scemo del villaggio, tale Peter (pron. Pétar), cerca di alimentare forzatamente a suon di pagnotte di pane bianco la di lui nonna (cieca, probabilmente sofferente di diabete: ecco il perché del pane nero) e si erge a difesa di tutti i teneri agnellini da macello, tanto che il nonno dovrà di nuovo scegliere tra la cura della verdura e la carne umana (io non scommetterei sul risultato).
Sempre perché è un cartone per bambini, penso che le lunghe puntate in cui l’orrida signorina Rottenmeier (e vi risparmio i nomignoli) si diverte a torturare la piccola Heidi siano tra le scene più crudeli che la tele ci abbia mai propinato. Mia sorella scoppiava regolarmente in lacrime, di fronte alle basse ingiustizie di quella inamidata carnefice; e pure io non nego che un certo prurito alle mani si fosse fatto sentire.
Questo cartone, tra l’altro, ha anche distrutto la vita di Elisabetta Viviani, showgirl a tutto tondo che ha avuto la fortuna-sfortuna di interpretarne la sigla. Se chiedete a qualsiasi pirla che passa per strada chi è Elisabetta Viviani, vi risponderà immediatamente: ma come, quella che canta la sigla di Heidi! Tutto il resto della sua lunga e fruttuosa vita professionale, praticamente, non se l’è filato nessuno, nonostante successi quali “E il coccodrillo come fa”, “C’è” (portato a Sanremo nel 1982, prima di cantare il quale affermò pubblicamente che non voleva morire nota solo per aver cantato Heidi), e varie partecipazioni TV assieme a personaggi del calibro di Paola Barale e Giorgio Mastrota. Del resto, un milione e mezzo di copie vendute solo col 45 giri, schifo non fanno di sicuro, e speriamo che gli abbiano fruttato tanto da pagarsi gli avvocati quando, inevitabilmente, accoltellerà il malcapitato che gli chiederà, a ottant’anni suonati, di autografargli…beh, ci siamo capiti.
Categoria: Mazinga è meglio del Prozac | Tag: abuso, allegria, Apemaia, avvocati, balcone, bambina, buoni sentimenti, capitolo, capre, carne umana, carnefice, cartone per famiglie, cartoni, cattivi, cazzotto, C’è, certo, componenti, Detta, diabete, disadattati, E il coccodrillo come fa, Elisabetta Viviani, figlio, fortuna, genio, Giorgio Mastrota, Goldrake, Hayao Miyazaki, Heidi, Il Vecchio dell’Alpe, inamidata, ingiustizie, insetti parlanti, lacrime, malcapitato, Mazinga è meglio del Prozac, moglie, morire, morti, necessità, nomignoli, nonna, nonnino, orso, pagnotte di pane bianco, pane nero, Paola Barale, perforata, Peter, positività, prurito alle mani, quarto, rumorosi, salumiere, Sanremo, sfortuna, showgirl, sigla, signorina Rottenmeier, SORELLA, stupefacenti, torturare, verdura, villaggio, villici, violenti, vita professionale