Mazinga è meglio del Prozac – quarta puntata
Lascia un commentogennaio 10, 2014 di carlovanni
Come per tutte le cose, si arriva, prima o poi, alla saturazione; e anche per i super robot, non ci fu eccezione alla regola. Ovviamente, a quel punto tutte le televisioni ormai facevano a gara per comprare più che potevano, senza neanche guardare cosa diavolo andavano a trasmettere; ne è seguito un lungo stillicidio di schifezze, con pochi programmi sufficientemente furbi da giocare la carta dell’autoironia (vedi: “Trider G-7”, in cui un funzionario del controllo di gestione calcolava il prezzo di ogni missile atomico sparato sul nemico, e prospettava di continuo rovinosi sforamenti del budget).
Il segnale della svolta, anche se all’epoca non lo potevamo sapere, fu l’arrivo dell’ultimo, grande mito: “Daitarn III”, nel quale l’unico punto di contatto con i predecessori consisteva, appunto, nel robot. Qui, le puntate veramente serie erano davvero poche. La serie consisteva in un curioso impasto tra i combattimenti con super robot, spaziali e non, e le logiche dei film di James Bond (quelli più cretini, con Roger Moore impegnato a parodiare il genere…e nessuno se ne rendeva conto!!!), con svisate di volta verso il fantasy, l’horror, e chi più ne ha, più ne metta; oltretutto, le citazioni si sprecavano, quindi per chi non aveva l’encefalogramma piatto (ma a quel punto, eravamo già in pochi, ho paura) c’era anche qualche spunto in più per passare le giornate.
Protagonista primo delle vicende era tale Haran Banjo, figlio di un progettista cibernetico che, recatosi su Marte per creare una razza di robot senzienti, riusciva nell’intento per poi essere ucciso da loro (e poi dicono, vai a far del bene…). Segue fuga rocambolesca di Banjo da Marte, che si porta anche via, vuole il caso, il Daitarn: un attrezzo alto 120 metri, dotato di armi avanzatissime (ma non così avanzate da non dover urlare per farle funzionare, ancora), e che utilizzerà per fare strage di Meganoidi (questo il nome dei cattivi di turno). I suoi nemici, una tizia di nome Koros, tàccata da zoccola (caschetto rosso, trucco appariscente, stivali da fem-dom convinta) che, unica, riesce ad interpretare ( o se li inventa di sana pianta?) i vaneggiamenti incomprensibili del grande Don Zauker.
Interessante esperimento: ciascuno può divertirsi a ricreare Don Zauker nel suo privato, con poca spesa e grande divertimento. Prendete vostro nonno, infilategli in bocca un uovo e incastrategli sulla testa una boccia per pesci; poi, cercate di capire cosa dice, se siete capaci. Se il nonno poi è tracheotomizzato, è l’ideale. Vabbè, probabilmente tutto quello che dirà è che vuole che lo liberiate prima che soffochi; troppo facile, così non c’è gusto. Uuuff.
Di tanto in tanto, per la solita legge del “non tutti insieme, per carità”, Don Zauker di volta in volta ordina un fritto misto in trattoria, commenta “Tribuna Sindacale” in maniera pittoresca o chiede a gran voce la carta igienica, che è finita; e Koros, con grande senso di opportunismo, dice” Ha ordinato un attacco alla Terra!”; e così, si manda giù il capitano meganoide di turno, in grado di trasformarsi in Megaborg se le cose si mettono male (a 9 minuti dalla fine della puntata, infallibilmente; ci si può rimettere l’orologio). A questo punto, Haran Banjo, che fino a quel momento è stato a prendere il sole in Costa Azzurra o a farsi l’ennesima modella (è ricco, bello, arguto, simpatico e fortissimo: una specie di Briatore da giovane, ma già con la pila) si fa lanciare il Daitarn da chissà dove, ci entra dentro con la speciale Mach Patrol ed è pronto alla pugna, dall’esito ovviamente scontato. Anche perché Daitarn c’ha l’attacco solare, arma definitiva che però può usare solo quando il nemico è ormai cotto brasato, in quanto tutte le manfrine che deve fare prima di usarlo (gesti coreografici, declamazione di versi) sarebbero impossibili a realizzarsi contro un tipo in grado di reagire.
“Daitarn III” è stato un cartone piuttosto divertente: il giusto pathos, disegni appropriati, ironia, ritmo incalzante, un sigla italiana che filava come un treno, con un basso sincopato che è il sogno di ogni fan del crossover che si rispetti.
Solo, il finale è di una tristezza incredibile.
I nemici morti ammazzati, che resta da fare? Niente, appunto. E infatti, Banjo saluta le sue assistenti Beauty e Reika (discrete gnocche, spesso seminude), l’orfano Toppy e il fido maggiordomo Garrison (poi reinvestitosi in Italia, come coreografo, assieme a Brian, e infine accodatosi a Maria De Filippi: una finaccia), saluta tutti, ciao-ciao, e se ne va. Garrison spegne il fuoco nel camino, chiude casa, e buonanotte al secchio; e si capisce che il loro “troviamoci, qualche volta!”, funzionerà allo stesso modo di tante simili promesse alla fine delle vacanze estive. Che magone!
La ventata di novità che decretò la fine dei super robots si insinuò, strisciante, attraverso le frequenze della altrimenti innocua TeleMontecarlo, nel 1980. Già che si vedesse chiaramente, era un caso fortunato; i cartoni animati, poi, erano una vera e propria rivoluzione. C’era, guarda il caso, l’ennesimo combattimento tra robot che sparavano, saltavano, volavano e prillavano…
…no, ferma tutto, cosa ho visto? Ha finito le munizioni?!?!?!?
Inconcepibile per un Super Robot che si rispetti, Gundam finiva le munizioni, scaricava le batterie, poteva essere pilotato dal personale che via via gli veniva assegnato…e la guerra era, com’è uso comune da queste parti, umani contro umani!
Difatti. Erano le prime avvisaglie di un cambiamento epocale, la ricerca di un maggiore realismo, di un pathos superiore. L’era dei Mazinga, Goldrake, Jeeg era fiita; Gundam era semplicemente un modello di arma come tanti costruiti in serie, fatto per essere usato e sorpassato dall’evoluzione tecnologica. Realismo scientifico, tragedie umane, eroismo, egoismo, problemi economici e sociali e, sullo sfondo, sempre la stupidità criminale della guerra. Difetti, in questa serie, non sono mai riuscito a trovarne; e a distanza di trent’anni, è l’unica che è invecchiata con grande dignità, e che posso vedere senza chiedermi come diavolo faceva a piacermi da bambino. Nell’ultima puntata della prima serie, addirittura, il Gundam viene distrutto , e il pilota (nell’edizione italiana, come al solito americanizzata, Peter Rey) semplicemente se ne va bel bello, portandosi dietro il computer di bordo.
Unico neo, neanche tanto piccolo: “Gundam” era rubato!!!
La società Video International Distributors, che da noi distribuiva, non ha mai pagato i diritti d’autore; ragion per cui, nel 1981 la Sunrise, che li deteneva, si è orrendamente incazzata, e ha tagliato fuori l’Italia dal giro delle molte serie Gundam poi susseguitesi per…beh, un rancore duro a morire: 23 anni.
Ventitrè lunghissimi anni nei quali chi voleva rivedere Gundam si poteva solo affidare a terribili pirati, capaci di venderti vecchie VHS scassate per cifre da capogiro e poi, quando le infilavi nel lettore, zac! Sopra ci trovavi, oltre alle puntate (non tutte, e registrate pure male) le righe del tracking altrui, il filmino del battesimo, le reclàme del Cynar e le repliche a tarda notte di “Colpo Grosso”; ma per chi ha tenuto duro, oggi è possibile, finalmente, acquistare tutto il cofanetto in DVD, edizione rimasterizzata e ben confezionata. Aufff!!!