Un motivo per non ammazzarsi: i Giri Para
2aprile 29, 2013 di carlovanni
Anche quando eravamo giovani noi, circa nel Cretaceo, esisteva la Disoccupazione; e siccome eravamo giovani, e dovevamo ancora inserirci nel Mercato del Lavoro, la cosa si faceva abbastanza preoccupante.
Tanto più che anche i nostri genitori non sguazzavano nell’oro, perchè era una delle tante Crisi del passato (ce ne sono state circa una ogni due anni, e, sì, pure negli anni ’80); ma siccome all’epoca eravamo tutti più o meno con le pezze al culo, e non eravamo abituati a desiderare lo stile di vita dei ricchi (ancora “Sex & the City” non aveva impazzato) non ci facevamo più caso di tanto.
Voglio dire, quando non avevi i soldi per la benzina, andavi a piedi. Se non potevi andare a mangiare una pizza, non ci andavi. I dischi te li facevi prestare, per i libri c’era la Biblioteca e senza motorino, beh, non scopavi, ma contavi di rifarti grazie al tuo incredibile carisma comunicativo (certo, loro scappavano in motorino e tu fingevi di essere un solitario).
Nel solco di questo andazzo si sono inseriti i Giri Para, soluzione ideale per chi non ha niente da fare e non ha in ogni caso nemmeno voglia o possibilità di farlo.
Nella fattispecie, abbiamo sfruttato l’unico allora con patente e stipendio (il generoso Alle); salivamo in macchina, mettevamo dentro il mangianastri Van Halen, o Deep Purple, o Guccini, o Pink Floyd, a seconda della voglia di introspezione, e via, verso il nulla, due, tre, cinque ore.
Una volta siamo partiti, abbiamo cambiato l’acqua nel Lago di Garda e siamo tornati indietro; tutto qui.
Certo, la benzina costa, e non ce la mettevamo noi, ma è un costo relativamente basso rispetto a dieci anni per aver sparato a qualcuno, o all’alternativa del suicidio per disperazione, soluzioni che non ci hanno manco sfiorato l’anticamera del cervello.
Io, Alle e Michele, e migliaia di chilometri.
Uno sport che ha dato i suoi porci frutti è stato anche raccogliere gli autostoppisti.
Gli autostoppisti, come insegna “The Hitcher”, sono una razza particolare, e chi li carica non sempre può stare tranquillo; noi ovviavamo a questo problema grazie al fatto che eravamo ben più minacciosi dei caricandi.
Io, tra capelli lunghi e berretto fin sugli occhi, non ero quel che si dice un fiorellino. Michele, ha sempre avuto un’idea dell’estetica desunta dalle foto di reduci degli incidenti aerei. Alle, il più presentabile, era poi in effetti quello che faceva più paura di tutti, a causa della sua sconcertante abitudine di mollare il volante e girarsi all’improvviso verso i passeggeri per conversare, il tutto mentre si accendeva una sigaretta. Una, beh. Giuro su Dio che l’ho visto accendersi una sigaretta mentre ne aveva una in mano che fumava, una in bocca, una accesa nel posacenere e una con l’altra mano la stava buttando (appena iniziata) dal finestrino, in corsa.
Una volta abbiamo caricato due evidentissimi malintenzionati che dopo 800 metri hanno affermato, insistenti, di essere arrivati a destinazione, grazie a questi piacevoli spettacolini.
Ma il più storico fu un tizio che caricammo mi pare alle Forche, in Michigan, che doveva andare ad Hamstàn.
“Dov’è che devi andare??”
“Haàmstàn!”
“Ah scusa, che scemo, chissà che avevo capito”.
Tempo di arrivare alla stazione, abbiamo avuto modo di decifrare che era appena tornato da un viaggio in India nel quale aveva trovato se stesso – si cercava in India, e si è trovato alle Forche, non ho mai ben compreso il meccanismo – ed ora faceva l’autostop per recarsi ad AMSTERDAM, terra del Latte, del Miele e dell’Erba.
Comunque, oh, sembra incredibile, ma non ci siamo ammazzati, non abbiamo spruzzato d’acido donne non consenzienti, non abbiamo dato fuoco a ditte, non abbiamo sparato a carabinieri, sindacalisti e facchini e ferrovieri, e siamo ancora qui a raccontarla, in gran parte con le stesse ansie di allora; e ancora queste soluzioni non ci vengono in mente.
A volte mi chiedo se non siamo profondamente sbagliati, dentro.
Ti voglio bene Gatto!!!
E io a te 😀