Siete lo stesso coinvolti.
Lascia un commentomarzo 28, 2013 di carlovanni
Un attimo prima di postare il brano da Youtube, rileggevo le parole del testo de “La canzone del Maggio”, di De Andrè.
Suona particolarmente attuale, dopotutto, no?
“E se credente ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare”
eccetera, eccetera.
Il dibattito che appassiona tanti atleti delle quattro dita su Facebook è: meglio il vecchio, o il nuovo che avanza? Declinato nelle maniere più strambe, da “Bersani somiglia troppo a Gargamella per essere credibile” a “I Grillini sono dei fascisti decerebrati”, fino a “Povero Silvio, tutti ce l’hanno con lui”.
L’arroganza, la chiusura al dialogo, la certezza di avere la verità in tasca si scontrano con la paura del nuovo, con la difesa dei privilegi, col terrore di perdere le proprie rendite di posizione, duramente guadagnate, oppure no; la ragionevolezza cede il passo all’urlacchiata, il dialogo allo scambio di insulti, che la cosa importante è restare padrone del campo, farsi dare ragione mentre l’altro se ne va – magari completamente disgustato, ma se ne va.
Mi rendo conto da parlare, come diceva il mio amico kossovaro, con “testa di vecchio sulle spalle”; lui lo intendeva come un gran complimento, qui da noi è una offesa infamante, e chissà che la verità, in fondo, non stia nel mezzo.
Nessuno che sia un poco sano di mente può fare a meno di provare anche solo un poco di ansia, al pensiero di un cambiamento drastico, senza precedenti. Che questo arrivi oppure no, è tutto da vedersi.
Il vero punto di questa tornata storica è questa specie di rigurgito del sentimento popolare, indirizzatissimo, pilotato, riscaldato ad arte, che non si sa dove potrà portare nel momento in cui gli venisse tolto uno scopo, una direzione – l’ipotesi in assoluto più credibile – nel momento in cui nuove paure, nuove idee agitano la vita economica e sociale internazionale.
Si fanno largo nuove idee, nuovi concetti, mentre quelli vecchi sembrano aver perso la capacità di essere funzionali a uno scopo, fruttuosi. Il mondo è più stretto, il buco da cui passare forse ancora di più.
La cosa che veramente mi sorprende è che tutto il processo sia guidato non già da un sentimento di comune necessità, di solidarietà sociale, ma dallo stesso miscuglio stupido, arrogante, becero e velenoso col quale si discute delle carte o dello scudetto all’osteria.
Si inneggia alla lotta sociale senza fermarsi un istante a pensare che in ogni guerra, al fronte quelli che si scannano sono sempre i fantaccini, che hanno bisogno delle retrovie per mangiare e curarsi, e di case a cui tornare se e quando la trincea ci rilascia.
Incuranti del fatto che momenti storici come questi sono già stati vissuti, senza averne tratto lezioni utili, o anche solo lezioni tout court, ci gonfiamo il petto con slogan ad effetto – per carità, brevi e facili da ricordare: lasciamoli lavorare, eia eia alalà, per un governo del cambiamento, è l’immigrato che traccia il solco ma è il mezzadro responsabile che lo difende, siete tutti morti eccetera – che domani ci resteranno in bocca stile grasselli di salame tra i denti, e i nostri nipoti ci chiederanno: papà, ma voi credevate davvero a quelle cazzate?
La lezione del ’68 non è stata appresa in niente che abbia importanza. E i nostri nipoti canteranno a loro volta delle belle canzoni del maggio credendo che si tratti di un rigurgito di orgoglio, della lotta sociale mai veramente finita, e invece sarà solo l’ennesimo momento di vaudeville.
La verità è che il mondo è un posto complicato, e che non agli slogan si dovrebbe fare mente, ma alle persone. La coperta è sempre corta se tutti la reclamano per sé.
E chi non ha capito la storia, il diritto, la geografia, eccetera, è condannato a ripeterle.