Cantami o Diva, del pelìde Achille l’ira funesta

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marzo 14, 2013 di carlovanni

“E quindi Polifemo uscì dalla grotta accecato, e impazzito dal dolore, e urlava con una voce che sembrava quella di un branco di buoi: aiutatemi, aiutatemi, Nessuno mi ha accecato, Nessuno mi ha ingannato! E i suoi compagni ciclopi lo prendevano in giro: ma cosa gridi, sciocco, se nessuno ti ha fatto niente? Sarà ubriaco, lasciamolo stare!”

Questa era mia madre che, io a tre anni e qualcosa, mi raccontava uno dei passaggi dell’Odissea di Omero, e io, tra quello e la rivista che si chiamava (manco a farlo apposta) “Mamma Racconta”, non sono mai più uscito dal tunnel.

Borges diceva che sono state scritte solo tre storie, veramente grandi: quella della conquista ad una grande città dopo un lungo assedio, quella di un uomo che cerca di tornare a casa dopo una lunga guerra, e quella di un uomo che si sacrifica per salvare gli altri. E due di queste, sono state scritte da Omero.

Poi c’è tutta una intera branca della filologia che da sempre si sbatte per capire se e chi era Omero: era cieco o forse aveva solo l’uveite, o magari era solo stitico? Era una donna, un uomo, un ricchione? Era greco o persiano, o forse fenicio o assiro? E’ esistito o in realtà ci sono state diecimila scimmie che scrivendo cazzate a caso per diecimila anni hanno messo giù per caso Iliade ed Odissea?

Il mio parere sull’argomento è semplicistico: me ne frego.

Ogni volta che rileggo questi due libri mi sorprendo e mi commuovo di quanto possano essere ricchi di avventura, di umanità, di conoscenza della forza e della miseria, dei vizi, delle abitudini degli uomini; drammi, misteri, inganni, miserie umane, stupidità, vanità, orgoglio giustamente e mal riposto, eroismo, intelligenza, amore, passione, vendetta, tutto è compreso in queste pagine.

Se Omero fosse stato uno scrittore di bestsellers, avrebbe sbancato. Se un cineasta, le sale sarebbero piene ad ogni replica. Un meccanismo perfetto, inimitabile.

La grandezza e la grettezza degli eroi, le sottigliezze dell’esame del loro carattere, del loro comportamento, il tacere delle azioni per sottolinearle.

Su tutti, Odisseo (Odisseus; laddove Oudeis è “nessuno”, di qui l’inganno del ciclope), vanaglorioso, colmo di hybris, che sfida gli déi in virtù della propria intelligenza pratica, la methis, che vince tutto tranne il destino, e solo perchè non esisteva ancora Hollywood.

Che costringe con un trucco i generali a giurare per partecipare alla guerra, che scopre il facile inganno di Achille per non parteciparvi, che escogita il trucco per far cadere le mura, che raccoglie gli insofferenti, i ribelli sotto una unica bandiera e ne fa un corpo di commando, Ulisse, e siamo solo all’Iliade.

Ulisse che vuole tornare a casa, intelligente, spavaldo, crudele, e poi umiliato, e vendicativo, e insofferente e poi ancora malfidato, incapace di mettere il cuore nelle mani di sua moglie, troppo conosce bene la natura umana per essere capace di fiducia; e Ulisse che scambia l’avventura dell’amore divino e semidivino, e giovane, e nuovo, per la promessa di un ritorno a una casa che sa non essere più sua, e appena tornato, eccolo già che riparte, per sempre perduto dal richiamo del mare, dell’ignoto, dell’avventura: thalassa, thalassa! Il richiamo che lo rapisce per sempre.

Ulisse che spezza il cuore a Calypso, a Circe, a Nausicaa, che vedono in lui l’unica cosa che nessuna donna può sedurre: un uomo padrone della sua mente e delle sue azioni, e quindi se ne innamorano disperatamente, fino a morirne, e in almeno un caso non metaforicamente.

Ulisse che inganna, che uccide, che ruba, uomo moderno nella ricerca del risultato, nell’applicazione della logica, nel rifiuto del soggiacere agli dei e ai re, in bilico tra il desiderio di piacere e di vincere, sempre vittorioso, e sempre sconfitto.

Pensate solo all’inizio dell’Odissea, la perfezione narrativa.

Un uomo, sconosciuto, gettato sulla spiaggia; il mistero, l’ignoto, poi recupera la memoria, piange, sogna, ricorda, e noi con lui, partecipi ad ogni istante delle sue emozioni, perchè mentre le rammenta, nell’attimo stesso le rivive e chi legge, pure.

Io non so se sia la perfezione. So solo che in ogni salsa, in ogni modo, in ogni maniera, queste storie mi catturano, e mi emozionano come la prima volta, dopo migliaia di volte che le ripercorro; impossibile non immedesimarsi, non chiedersi se i difetti, se l’umanità di Ulisse non sia in fondo lo specchio di chi legge, non sentirsi spronati ad emularlo, a capire le sue emozioni, le sue paure, a inorgoglirsi delle sue vittorie.

2 thoughts on “Cantami o Diva, del pelìde Achille l’ira funesta

  1. Hello spank...ing ha detto:

    Mai sentito…
    Si ma questo fantomatico Omero? scrittore, sceneggiatore, va bene ma alla fine non ha vinto nemmeno un Oscar !
    Da wikipedia ho verificato:http://it.wikipedia.org/wiki/Omero

    Nemmeno un TELEGATTO! (Ezio Greggio ne ha vinti diversi)

    • carlovanni ha detto:

      Sì, in effetti tra “Il silenzio dei Prosciutti” e “Striscia la Notizia” Greggio lascia un patrimonio inossidabile all’umanità! E’ anche vero che il Telegatto, dalla sparizione di Maurizio Seymandi in avanti non è poi così quotato 🙂

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