Questo, non lo scriva.
Lascia un commentomarzo 6, 2013 di carlovanni
Ero arrivato al punto di pensare che questo suo fosse un intercalare, come certe persone, prima di cominciare una frase, fanno “EHHHMMMMMMM” e si raschiano la gola; lui, invece, diceva: questo non lo scriva.
Si trattava di una intervista senza dubbio interessante, a una persona di notevole importanza in seno alla comunità locale, un funzionario dello Stato di quelli con la maiuscola davanti; però, i dati erano tutti pubblici, in fondo, e circa le opinioni, o le interpretazioni, onestamente dal mio punto di vista non ci vedevo niente di strano.
Poi, arrivato a casa per mettere giù un pezzo (due pagine, per la verità) leggibili, mi trovai a dover selezionare: questo no, questo no, questo no, questo no, e anche questo, non ha piacere che lo scriva se proprio non è necessario, e siccome non siamo nell’ottica di denunciare un colpo di stato, neanche questo, no.
Alla fine, cosa era rimasto? Cose interessanti, senza meno, ma certo niente di fantastico, di stuzzicante, cose buone per chi veramente fosse davvero a digiuno di tutto l’argomento; posto poi che leggesse l’inchiesta sulla quale mi stavo dannando.
Leggo di tanti che con gioia piscerebbero sulla lapide di tutto il giornalismo italiano, giudicandolo servile, falso, controllato, superficiale, gretto, oscurantista; e ancora, imbrigliato, deviato, schiavo, venduto, inetto.
Quello che non sanno è che lo stesso giornalismo italiano ha il feroce e suicida coraggio di autodefinirsi con gli stessi termini, cercando soluzioni, imprecando, arrendendosi, rialzando la testa, rinnovandosi e sopravvivendo in un mondo tra i più difficili in assoluto, al confine tra arte e tecnica e sempre sotto battuta di dover lavorare per vivere.
Chi ha anche solo per sbaglio lavorato in un giornale – a me è successo, e per molti anni, tutto sommato – intuisce quali sono le verità concrete dietro queste critiche. Gli altri, no.
Ho continuato anno dopo anno a collaborare con un giornale locale, mantenendo un atteggiamento scarsamente professionale quanto a gestione delle dinamiche di redazione, per non dire della effettiva capacità di scrivere, perchè scrivere sui giornali non è la stessa cosa che scrivere sul proprio diario, checchè se ne pensi; sempre dichiarando che, no, il mestiere del giornalista tutto sommato non mi affascinava, e sempre evitando di intraprendere il percorso che mi avrebbe portato all’Albo, offendendo, immagino, involontariamente quelli che invece all’Albo si erano iscritti eccome e ne facevano il pane da portare in tavola.
Ecco; chi scrive sui blog e si picca di condannare il giornalismo, non sa di cosa parla.
Non sa quante volte un articolo non si può scrivere perchè non si può regalare visibilità a qualcuno, per esempio, perchè la sezione commerciale del giornale, che è poi quella che paga gli stipendi a tutti (altro che finanziamenti pubblici), resterebbe a bocca asciutta, poi.
Non sa quante volte ci si trova davanti a una notizia importante, ma non la si può scrivere, perchè la fonte rifiuta di rispondere della propria affermazione, o non vuole essere citata, e quindi, anche se sai per certo che è tutto vero, non puoi metterla nero su bianco; sarebbe una illazione. Chi scrive su Facebook la butta lì, l’effetto intanto l’ha ottenuto, che importa se è verificabile?
Non sa quante notizie finiscono nel cesso perchè anche se sono verificabili nessuno crederebbe mai alla fonte, che appare collusa; o quante volte si andrebbe contro agli interessi politici (economici, diplomatici) della proprietà, e quindi ne parlicchi, poi vedi apparire il tuo lavoro su un giornale di parte avversa e tiri due madonne, e scrivi d’altro, facendo finta di essere stato lento o ignorante.
Non sanno quante volte un articolo non puoi scriverlo, perchè è troppo pericoloso. Perchè se Travaglio o la Gabanelli hanno dietro di sè la possibilità di resistere a una querela con richiesta di danni, un collaboratore di un giornale locale, o se è per questo a tiratura nazionale, c’è il caso che prenda 2, 4, massimo dieci euro ad articolo (a volte, per scriverlo vanno via venti litri di benzina e venti ore di tempo), e il giornale te lo deve dire: tu sei in grado di tutelarti, in caso di azione legale? Noi non ci riusciamo, dobbiamo dirti che, no, non è il caso, mettiamo su quel pezzo carino sulla Fiera ottobrina.
Senza contare il rischio che tu finisca in galera per diffamazione, magari per una svista. E perchè no? Che qualcuno ti spacchi le gambe, magari una inchiestina alla buona sul gioco d’azzardo nella nostra città ti mette un attimino troppo in gioco coi russi, o con i polacchi che gestiscono il recupero crediti, o con la mafia dei cantieri e della ghiaia del Po, o con Scientology; non sempre ti salva lo pseudonimo, non sempre la redazione riesce a fare quadrato attorno a te. E allora il capo redattore cerca di spiegartelo, lasciamo perdere, fa la figura del venduto, dell’asservito, ma no, non è il caso.
Quante di queste difficoltà incontrano, quelli che scrivono sul WEB in maniera amatoriale? Nessuna. Quanto sono verificabili le loro notizie, quante volte citano le fonti, le controllano, le conoscono, che codice deontologico hanno, da chiuderci sopra un occhio e anche due?
Nessuno, niente, nessuno, mai o quasi mai.
Per ogni Assange che finisce nei guai, centomila benintenzionati (tutto da vedere) prendono e scrivono di quello che vogliono, coi toni che vogliono, certi di ottenere un applausino, di rimorchiare un po’ perchè sono intelligenti, e poi ciccia, finisce lì; un esercito di improvvisati che non rischia nulla e non perde nulla, che scrive sulle veline altrui nè più nè meno come tanti giornalisti, certo, ma che non ne ha bisogno, e quindi nonostante abbia tutto il tempo e la libertà del mondo a mancare di condizionarlo vola basso, bassissimo, denunciando sprechi misteriosi, complotti orgiastici e interstezioni stellari come scandaletti di pianerottolo, tanto, come dire: al massimo al massimo, non ti leggono, o ti bannano.
Questo, per i giornali controllati, servi e deludenti; e io non sono un giornalista e probabilmente non lo sarò mai, ma ce ne sono e ce ne sono stati che sono stati accoppati, vessati e massacrati per quello che hanno scritto, e siccome non sono tutti Bocca e Montanelli e Biagi, gli altri cercano di campare cercando la quadra tra obbiettività, onestà e fine mese, tra le offese e le critiche facili, facilissime di chi non sa di cosa si stia parlando.
Quando tutti gli inserzionisti e bloggers del mondo avranno fatto complessivamente un ottavo del giornalismo di, che so, Espresso, o Repubblica, o La Stampa, o del Corriere della Sera o del Giornale, forse, forse allora si potrebbe anche cominciare a parlare.
Foto: Dino Buzzati. Chiedetevi se lui era un giornalista, o voi no. Intrigante.