Le cose di cui sono capace, del cugino di Alessandro Zannoni
3novembre 2, 2011 di carlovanni
Era da un po’ che volevo leggere qualcosa di Alessandro; dopo averlo cercato (senza impegno, lo ammetto) in alcune biblioteche decentrate, mi si è proposta l’occasione principe per farlo. Ovvero: dopo aver comprato un suo libro.
Essendo io povero e conseguentemente tirchio (“frugale”), non avrei voluto farlo, ovviamente. Ma dopo aver mangiato, bevuto e ascoltato musica alla faccia sua, sulla piazza di casa sua, circondato dai suoi amici (e altro), mi pareva brutto. Sì, dura, eh? Pareva brutto persino a me.
Poi, dopo aver letto “Le cose di cui sono capace”, mi sono preso un po’ per digerirlo e scrivere quello che mi ha fatto pensare (recensione è un termine un po’ troppo nobile, che si dovrebbe smettere).
Due mesi dopo, mi scollo la scimmia della pigrizia dalla schiena, e approfittando del fatto che Alessandro è lontano, impegnato a spalare, dico le mie quattro cazzate sull’argomento.
Anzitutto; è un libro che si fa leggere. La storia si presta ad essere frequentata dall’inizio alla fine, contrariamente a circa il 40% dei libri oggi in commercio; in più, il formato non è di quelli che mettono a repentaglio i polsi e, se vi addormentate leggendo, lo sterno. Insomma, un libro onesto.
Poi, le solite amenità.
Scenario, una di quelle cittadine americane che sorgono attorno a (ieri) un pozzo petrolifero, (oggi) un distributore di benzina, un motel, uno di quei cazzi di groceries e “deli” (buarrrrrppp) che credo rappresentino il 70% dell’alimentazione americana pre-Gordon Ramsay (e t’ho detto tutto). Insomma, come Villa Seta, ma ancora più sperduta. (Lo so, lo so, è dura da digerire).
Protagonista, Nicola Coretti, che poi però finisce col chiamarsi Nick Corey, come avranno già detto tutti, come il protagonista de “Colpo di spugna”; curioso che si citi molto meno “L’assassino che è in me”, sempre del caro vecchio zio Jim Thompson, che secondo me è parente più stretto. E poi anche quel film l’ha diretto Tavernier. Ah, già, c’è anche il libro. E’ vero, che Thompson era uno scrittore.
Leggendo altre recensioni, trovo spesso il termine “parodia”, a proposito di questo libro.
Boh!
A parte che solo lo scrittore sa quello che avrebbe voluto dire, e poi, alla fine, è spesso quello che ha le idee meno chiare sull’argomento; a me, modesto e personale parere, la volontà di parodia non mi balena immediatamente all’occhio.
Cioè, dove sarebbe? Nelle rodomontate del protagonista? Nei suoi toni a volte stereotipati? Nelle evidenti male parate da Wyle Coyote che si palesano evidenti all’orizzonte, e tu che leggi vuoi solo vedere come le si raggiungeranno?
I tre quarti del genere scelto sono stereotipi, e nello stereotipo la vena di presa per il culo c’è sempre. Ma per il resto, non mi sembra una volontà di parodia più che, appunto, i tre quarti del genere, sempre che nell’etichetta “parodia” non ci sia una volontà di vedo non vedo, dico non dico, che va sempre bene ed evita i toni più accesi. Lanciato il sasso, vigliaccamente, non mi esprimo.
Non dovrei essere io a dire se il libro di Zannoni è bello o brutto, ovviamente. Dico solo sinceramente che a me è piaciuto più della stragrande maggioranza dei frequentatori italiani del genere (ma quale? Noir? Pulp? Zannonpulp, nel quale penso sia inattaccabile?); il che vuol dire tutto e niente, perchè a me gli scrittori italiani che scrivono cose americane piacciono spesso molto poco, e quelli che scrivono cose italiane, nel 90% dei casi li evito proprio. Insomma, non capisco un cazzo, me la dico da solo che faccio prima, ma sono stato cresciuto un po’ troppo bene: prima dei Coen, citati in continuazione, ci sono i vari Bukowski (vabbè, ma ne ho viste più grosse io…), Thompson, i moderni Lansdale, tutto l’HardBoiled moderno e antico, molti maghi del thriller, il western di Lamour, Dickens, Topolino, Crumley (se non lo avete letto, sparatevi ORA), Leonard, Bunker, eccetera eccetera eccetera.
A me sembra semplicemente che Zannoni abbia saputo fare sua una miscela da tempo ben codificata, e la padroneggi meglio di moltissimi altri.
Poi è ovvio, che dal torrente di citazioni salta fuori la voglia di divertirsi e di divertire; e meno male, di scrittori che amano definirsi tali e si fanno pompini a vicenda e si prendono estrrrremamente sul serio, ce ne sono…stavo per dire “fin troppi”, ma è un luogo così comune che oramai se lo chiedi al TomTom (macoute?) ti risponde “eh dai, arrangiati”.
Quanto allo svolgimento della storia, ve lo comprate e ve lo leggere pure voi, tiè. (Della serie: io l’ho fatto, e adesso faccio il virtuoso).
Quanto invece alle evidenti simpatie ritentive anali di Corey (il perfetto poliziotto: anale e ritentivo), alle sue elasticità omicida e giuresprudenziali, per quanto colorite, non mi hanno nè fatto salire vampate di rossore nè gridare al miracolo; solo, considerato che con l’autore ci siamo trovati a bere bene assieme e a gironzolare in auto col buio, eviterò il can che dorme della mia solita domanda del cazzo quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? in quanto non desidero svegliare il can che dorme.
Buono spalamento, Ale.
seguitero’ serenamente a ignorarlo :-)) grande VANNI!
Mi sono sparato.
Nel mio blogger, c’è un altro blogger che è invece decisamente appassionato di romanzi con sfondo americano.
Comunque mi piace lo stile con cui lo hai descritto. Un saluto da Vongole&Merluzzi 🙂
🙂 No veramente, leggiti Crumley, garantisco io 🙂