1. Trasferire la propria affettività su animali da compagnia

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marzo 23, 2011 di carlovanni

1. Trasferire la propria affettività su animali da compagnia

La storia dell’orologio biologico che ticchetta, ormai, ce l’avete raccontata così tante volte che ci aspettiamo di sentire veramente le lancette che scattano, come nei film dei vecchi tempi, di quando le bombe si collegavano alle sveglie e non c’erano ancora i timer digitali. Così, in assenza di un figlio da spupazzare – o perché proprio non c’è, o perché ha già raggiunto l’età in cui può divincolarsi dalle vostre spire stritolatrici – non ce la sentiremmo mai e poi mai di dire di no ad un innocente animaletto da compagnia che porti un po’ di gioie materne deviate nella vostra vita. Quando diciamo “Ma certo, cara, capisco benissimo”, però, nella nostra semplice mente l’immagine che si forma è quella di un innocuo criceto, di un gattino semicatatonico, già peggio, o, Dio non voglia, nei casi più estremi, di un cane. Piccolo. Se dobbiamo ritrovarci tra i piedi una bestia capace di devastare l’arredamento ed il vestiario nel giro di un’ora, tanto valeva un bambino; il massimo sarebbe un tradizionalissimo pesce rosso, un alano antropofago non stimola la produzione dei nostri pensieri felici. Quello che però temiamo maggiormente è il proliferare di quegli orribili surrogati d’infante che sono gatti tanto rincretiniti quanto vellosi, e cagnini agghindati come comparse di Willow, cappottini lacci scarpette sciarpine e, nei casi più drammatici, appositi cappellini.

Sono bestiole che rapidamente diventano psicotiche, perse per sempre in un passaggio dalla bestia all’umano che non si verificherà mai ma che è sempre ad un passo dal divenire; mangiano nei nostri piatti (a volte ci fanno anche pupù), ci guardano mentre facciamo sesso, vi baciano con la lingua, ci svegliamo di soprassalto col loro deretano stampato sulla bocca, e così via. In breve, diventano i veri padroni incontrastati della casa; dappertutto è un proliferare dei loro giocattolini, dei loro resti organici, dei loro peli, mentre la casa è infestata dall’eterno, disgustoso odore delle loro scatolette o, addirittura, delle pappine appositamente preparate sui fornelli della nostra altrimenti immacolata cucina. Quella che all’inizio era una semplice ed indifesa bestiola, con due occhioni che facevano tenerezza a guardarla, adesso è il tiranno della casa; intoccabile, per carità, non sia mai ci scappi una pedata quando lo becchiamo a macinare il divano buono. Lui lo sa bene; e in breve, arriverà a gestire il telecomando, l’onta suprema, conscio della sua assoluta impunità. E quel che è peggio è che ogni vostra tenerezza, ogni coccola, sembra venga risucchiata, catalizzata dal piccolo sgorbio, comodamente assiso sulle vostre ginocchia o appollaiato sul vostro seno, che per noi diventa altrettanto off limits del Triangolo delle Bermuda. Bene, lasciate che ve lo dica: questa non è una situazione tollerabile da un comune maschio umano, in possesso anche solo di un briciolo di orgoglio. Io non potrei mai sopportare la convivenza con un chihuahua dall’occhio basedowiano vestito da marinaretto, che sprigiona un odio tangibile nei confronti di chiunque sia alto più di quattordici centimetri, capace di mandarvi in pappa il cervello quando abbaia con la sua vocetta stridula e con la tendenza a poggiare sulle labbra della mia donna una lingua che, per decenza, non diremmo dove potrebbe essere stata fino a un minuto prima. Labbra che in teoria, in seguito, dovrei essere tenuto a baciare pure io. Quando un uomo risponde alla domanda se gli piacciano gli animali, teme sempre sotto sotto di finire tra le grinfie di una gattara compulsiva, di avere un piccolo svenimento e di svegliarsi con le appendici rosicchiate da una legione di piccoli amici a quattro zampe. Per cui, regolatevi; questo è un metodo comprovato, suscettibile di molte e fantasiose variazioni ed estremamente efficace se volete fare in modo che il vostro uomo rapidamente trovi la convivenza con voi intollerabile.

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